Resiste la Polonia aggredita dalla UE

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Mentre la Polonia chiede aiuti per soccorre i profughi che scappano dall’Ucraina invasa e martoriata dall’esercito russo, il mondo chiede alla Polonia di liberalizzare l’aborto.

Sembra ripetersi il film dell’orrore dell’anno scorso, quando, nel pieno della tragedia e delle morti per la pandemia da CoViD-19, le istituzioni europee e internazionali, tra cui spicca l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), schiacciarono l’acceleratore sull’aborto, soprattutto favorendo la commercializzazione delle pillole abortive a gran parte di Paesi del mondo.

La settimana scorsa la vicerappresentante permanente della Polonia alle Nazioni Unite, Joanna Skoczek, è intervenuta al Consiglio di Sicurezza per presentare il pacchetto di aiuti che Varsavia sta fornendo ai più di tre milioni di rifugiati ucraini, dichiarando che «circa 200mila bambini rifugiati dall’Ucraina frequentano scuole polacche», di cui «il 20% le classi preparatorie e l’80% le classi regolari assieme ai bambini polacchi». In più «è stata creata una piattaforma online che offre strumenti educativi gratuiti». Questo nel quadro di un aiuto globale volto a sostenere tutti i 3,6 milioni di rifugiati giunti dalla Ucraina sui totali (la fonte è l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR) 6 milioni fuggiti dalla guerra da febbraio.

Ora, il 9 marzo si erano riuniti a Varsavia i rappresentanti dei governi di Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Gran Bretagna, Ungheria, Lettonia, Lituania, Moldavia, Romania e Slovacchia, oltre all’ambasciatore ucraino in Polonia, Andrii Deshchytsia. A quel tavolo, promosso dal ministro polacco degli Interni, Mariusz Kamiński, la Polonia aveva chiesto all’Europa «un fondo di alcuni miliardi di euro» appunto per l’aiuto ai profughi, ribadendo la «richiesta polacca di tenere al più presto un vertice dell’UE sui finanziamenti». Ma l’Unione Europa si nega e nega. Perché? Perché in Polonia vigono leggi a favore del diritto alla vita umana nascente e a tutela della famiglia naturale.

Ovvero, nel pieno della più grande crisi di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale (1929-1945) Bruxelles, che vorrebbe presentarsi come la casa comune e accogliente dei popoli dell’Europa, pensa di imporre sanzioni nuove proprio contro la Polonbia che aiuta i sofferenti, e già che c’è pure contro l’Ungheria, sempre a causa delle leggi pro life e pro family varate da Budapest. Lo ha chiaramente ribadito la Commissione Europea (CE).

Proprio in marzo, mentre andavano in scena le sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, il Parlamento Europeo (PE) aveva chiesto alla CE di decidere rapidamente sanzioni anche contro Varsavia per violazione dei «valori democratici liberali». È del resto dal 2020 che il PE combatte la decisione della Corte costituzionale polacca di vietare l’aborto eugenetico. E il fatto che in Polonia l’aborto sia illegale tranne nei casi di stupro o di incesto, oppure quando la vita della madre è a rischio, per Bruxelles è intollerabile. E l’approvazione, da parte del PE poco meno di un anno fa, del famigerato «Rapporto Matić», con cui l’aborto viene dichiarato «diritto umano» e le leggi che lo impediscono «una forma di violenza di genere», è il quadro di riferimento ultimo.

Tre fatti sottolineano la gravità dell’offensiva. Il primo. In settembre lo European Parliamentary Forum for Sexual and Reproductive Rights, il network parlamentare referente della Planned Parenthood in Europa, ha pubblicato il primo rapporto sui cosiddetti «diritti riproduttivi» in Europa, pubblicizzato in grande stile in febbraio. Nella classifica dedicata all’aborto in quel documento, Polonia e Malta, assieme a Russia e pochi altri, risultano i Paesi “peggiori”, cioè quelli che meglio difendono la vita umana nascente.

Il secondo. In marzo Amnesty International, con diversi altre sigle filoabortiste, ha diramato un appello urgente a tutti i governi confinanti con l’Ucraina onde garantire «i diritti riproduttivi, incluso l’aborto libero, senza alcun limite e sicuro», esattamente come richiesto dall’OMS, a tutte le donne rifugiate che scappano da bombe e devastazioni.

Il terzo. Le donne rifugiate in Polonia per sfuggire alla guerra «devono avere accesso a diritti riproduttivi che soddisfino gli standard internazionali, compreso l’aborto», ha dichiarato, il 13 maggio, Gillian Triggs ai vertici dell’UNHCR. Oltre all’Ucraina, resiste dunque fieramente e strenuamente anche la Polonia. Una guerra diversa, ugualmente micidiale e letale.

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