Referendum droga, il male che abbiamo scampato

L'avvocato Daniela Bianchini illustra il trucco, l'inganno e il vulnus alla democrazia

Cannabis

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Come per il referendum per la depenalizzazione dell’«omicidio del consenziente», anche quello “sulla cannabis”, era stato impostato in modo equivoco, in primo luogo perché riguardava ogni tipo di stupefacente. Inoltre la stessa cannabis è molto meno innocua di quel sembra: un buon motivo per non legalizzarla. «iFamNews» ne parla con l’avvocato Daniela Bianchini, membro del Comitato per il no alla droga legale e del Centro Studi Rosario Livatino.

Avvocato Bianchini, quali considerazioni, a caldo, dopo la bocciatura di questo referendum?

È un argomento molto importante di cui bisognerà parlare per fornire controinformazione rispetto ai discorsi portati avanti proprio dai promotori del referendum. Questi ultimi, persino dopo che la Corte di cassazione aveva cambiato la definizione del referendum stesso, avevano continuato a parlare di «cannabis legale», veicolando un messaggio falsato. È importante farlo per far capire ai cittadini italiani l’operazione che c’era dietro, anche perché, subito dopo la bocciatura, i promotori del referendum hanno parlato di lesione della democrazia, dei diritti e della capacità di partecipazione dei cittadini. Invece sono evidenti i rischi che la libertà di voto venga compressa e, soprattutto, che il voto venga dato in modo non consapevole: è stata fatta confusione grande proprio sul quesito referendario, che tripartito, era piuttosto complesso da capire in sé.

L’avvocato Daniela Bianchini

A quale tipo di mistificazioni si riferisce?

Abbiamo già depositato in parlamento il testo unico in materia di stupefacenti che segue gli impegni assunti dallo Stato italiano in ambito internazionale e che quindi è uno strumento importante proprio per il contrasto della diffusione delle sostanze stupefacenti. In ogni caso ci sono dei dati Istat, riportati dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza e anche dal dipartimento per le Politiche antidroga dalla presidenza del Consiglio dei ministri, che confermano come il consumo di sostanze stupefacenti e di cannabis stia aumentando, in particolare, tra i più giovani, soprattutto intorno ai 14 anni. Su questo dato ha espresso forti timori il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, proprio perché si è abbassata l’età del primo consumo. Sono dati su cui bisogna riflettere. Lo Stato deve anche evitare di diramare messaggi contraddittori: nel momento in cui, a tutela dei minori, dei più giovani e dei più fragili, e nel rispetto degli impegni internazionali, c’è chi porta avanti campagne di sensibilizzazione sulla pericolosità delle sostanze stupefacenti, è chiaro che una legge che le legalizzasse andrebbe a contrastare tutto quanto viene messo in campo,. La cosa sarebbe quindi diseducativa per i più giovani, che già manifestano sfiducia nelle istituzioni e negli adulti. È chiaro che dare messaggi contraddittori andrebbe a rafforzare questo senso di sfiducia.

C’è un aspetto di assoluta preminenza intorno a questo referendum: il quesito non riguardava soltanto la cannabis

Riguardava tutte le sostanze stupefacenti. Il quesito era appunto triplice. Nelle sue tre parti ricomprendeva dunque non solo la cannabis, ma anche le sostanze contenute nelle quattro tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope poste sotto controllo nazionale e internazionale che sono state predisposte dal ministero della Salute, a partire dalla prima, quella che contiene le droghe “pesanti”. Piuttosto bisognerebbe lavorare per un chiarimento che, invece, non è venuto. Dal 2014 aleggia questa idea, del tutto priva di fondamento scientifico, per cui esisterebbero “droghe leggere” e “droghe pesanti”. La cannabis viene indicata come “droga leggera”, che, per molti giovani, è l’equivalente di “innocua”. La leggerezza, semmai, può stare negli effetti immediati, ma ciò non significa affatto che sia innocua. Al contrario, l’uso della cannabis arreca seri problemi di sviluppo psicofisico, persino psicopatologie. Non si può non tenere conto di tutto questo quando si pensa alla legalizzazione anche solo della cannabis, fermo restando che i promotori del referendum avrebbero voluto legalizzare ogni sostanza.

Se il referendum avesse ricevuto il placet della Corte costituzionale quali conseguenze ne sarebbero derivate?

In quel caso sarebbe stato fatto un grosso lavoro di smascheramento dell’inganno da parte dei promotori del referendum, che sul proprio materiale di propaganda scrivevano «cannabis legale». Sarebbe stato dunque necessario avviare una campagna di informazione per far capire che la legalizzazione avrebbe riguardato anche la coltivazione e il traffico di altre sostanze stupefacenti, togliendo la reclusione da due a sei anni per la cessione e la produzione. Sarebbe stata necessaria una seria campagna di informazione nell’interpretare quelli che sono i limiti costituzionali del referendum abrogativo, nel rispetto di quello che aveva già espresso la Corte costituzionale. Quando i cittadini sono chiamati a votare per una proposta referendaria di abrogazione di una legge o parte di una legge, è evidente che debbono farlo con piena cognizione di causa e i quesiti devono essere chiari. Altrimenti ci si troverebbe di fronte a una lesione del diritto di voto – quindi di un diritto costituzionale – e alla vanificazione del referendum abrogativo come strumento di democrazia diretta. In ogni caso bisognerà continuare a fare opera di sensibilizzazione. Sia su questo referendum sia su quello relativo depenalizzazione dell’«omicidio del consenziente» il fatto che il governo non si sia costituito è un segnale di allarme: su tematiche come queste, la prassi è che il governo effettui un intervento a tutela della normativa. È un segnale che va interpretato. Tra l’altro gli stessi promotori del referendum hanno sottolineato trattarsi di temi di grande importanza, che coinvolgono la società. Il fatto che, a differenza del passato, il governo non si sia costituito fa riflettere. Questo referendum va poi messo in correlazione con i decreti che hanno fatto slittare i termini per la raccolta delle firme, dando così più tempo ai promotori. Se si considerano tutti questi elementi assieme, si ha un quadro più chiaro di quella che è la posizione del governo.

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