Last updated on marzo 23rd, 2020 at 06:43 am
Facile dire #IoRestoaCasa. Per molti italiani l’isolamento coercitivo di questi giorni rappresenta una calamità. Il riferimento non è certo a chi, in salute, si sente privato del diritto di muoversi liberamente, bensì alle famiglie con disabili. Come quella di Emanuele «Mele» Campostrini. Undici anni, giocatore di scacchi, pittore di discreta fama, può comunicare soltanto attraverso un puntatore ottico. Già, perché Mele è affetto da una grave malattia genetica, la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale. La sua casa di Massarosa, in provincia di Lucca, è diventata la sua prigione. Sembra un paradosso: le misure di contenimento del coronavirus hanno privato Mele e famiglia di alcuni fondamentali sostegni.
I fatti
Non che prima la situazione fosse rosea, come racconta a “iFamNews” il papà di Mele, Massimo Campostrini. «Noi viviamo in “quarantena” da diversi anni», spiega. «Abbiamo, è vero, un servizio domiciliare infermieristico, ma di poche ore al giorno, che non ci permette affatto di rilassarci. Anche consentire agli altri figli di andare in palestra o a scuola sarebbe impossibile senza l’aiuto di chi si propone di accompagnarli e riportarli a casa». Il decreto ‒ che Massimo ritiene comunque «giusto e necessario, e semmai insufficiente» ‒ si inserisce dunque in un contesto già difficile. Per altro la mamma di Mele è stata recentemente ricoverata per polmonite interstiziale, non da Covid-19, ma se ora prendesse il virus si troverebbe in una situazione di fragilità. «Un po’ come Mele, che viene già assistito con il ventilatore ogni giorno: sarebbe davvero pericoloso per lui ammalarsi di coronavirus», spiega Massimo.
Ecco allora che si sovrappongono i problemi. Per assistere Mele, le infermiere devono usare i dispositivi di protezione individuale (Dpi), di cui tuttavia nella loro zona c’è carenza. «Non possono svolgere il loro lavoro», insiste il papà di Mele, «ci ritroviamo così da soli a fare anche tutto il lavoro infermieristico, giorno e notte». Diventa allora fondamentale il sostegno degli amici, che si recano in farmacia, in ospedale, al supermercato per conto della famiglia Campostrini. «Non fosse per loro, saremmo senza presidi e farmaci per Mele», osserva Massimo. Il quale si è rivolto alla Asl per procurare i presidi agli infermieri domiciliari al fine di non sospendere, durante questa emergenza, un servizio che in casa Campostrini diventa ancora più importante vista anche la condizione di salute della mamma. La risposta, arrivata il 10 marzo, è stata la seguente: «Vista la sua mail, ci faremo carico delle Sue richieste. Le faremo sapere al più presto». Da quel dì, tuttavia, non è più giunto alcun riscontro. Il papà di Mele ha scritto in via informale anche ai responsabili della Protezione Civile del suo Comune, i quali hanno risposto «ci dispiace molto per la situazione…ci stiamo lavorando… ci aggiorniamo a fine giornata». «La giornata, che era l’11 marzo, evidentemente non è ancora finita», mastica amaro Massimo.
Preoccupazione e fede
La preoccupazione, per la famiglia Campostrini, è che il contagio si diffonda massicciamente anche nella provincia di Lucca. «Nel tal caso sarà difficile o forse impossibile farsi curare per altre malattie, che non sono sparite, e sarà comunque rischioso, più del solito, recarsi con un bambino grave come Mele in ospedale», afferma Massimo. Che aggiunge: «Se oggi è difficile avere presidi di protezione e personale infermieristico, dopo sarà probabilmente impossibile e forse anche rischioso». Intanto, però, la famiglia Campostrini non rinuncia a offrire un messaggio di speranza. Massimo spiega che per suo figlio Mele non è una novità dover seguire le lezioni «via Internet o in differita», e aggiunge che era da Natale che non riusciva a recarsi fisicamente in aula con i compagni. Proprio quando finalmente erano stati risolti una serie di problemi, è arrivato il decreto che ha chiuso le scuole. «Pazienza», sospira Massimo, «la salute di tutti ovviamente viene prima. Abbiamo un giardino ed è una fortuna. Assieme ogni giorno recitiamo il rosario e ci fidiamo che il Signore farà bene ogni cosa, noi cerchiamo di fare la nostra parte». L’augurio è che anche le istituzioni facciano la loro.