Erano le prime ore del mattino di un venerdì di settembre quando una ventina di agenti armati di una squadra del Federal Bureau of Investigation (FBI) hanno fatto irruzione nella casa di Mark Houck con le armi spianate, gli hanno puntato una pistola alla testa e l’hanno tratto in arresto, davanti alla moglie e ai figli comprensibilmente terrorizzati.
Mark Houck non è, però, un pericoloso criminale, uno spacciatore di stupefacenti, un omicida o un rapinatore da strada. Mark Houck è un padre di famiglia, ha sette figli, è cattolico, è membro stimato della comunità. È anche un attivista pro-life e il co-fondatore e presidente di The King’s Men, un movimento di apostolato contro la pornografia che promuove uno stile di vita coerente con il cristianesimo, e forse questo spiega l’accanimento con cui l’FBI e il tribunale federale di Filadelfia stanno enfatizzando la sua vicenda.
L’accusa che il Dipartimento di Giustizia muove a Houck è di aver violato il Freedom of Access to Clinic Entrances Act (FACE) del 1994, che «criminalizza l’uso della forza per intimidire o ostacolare qualcuno nell’ottenere o fornire un aborto». L’uomo, in ogni caso, si è dichiarato non colpevole dell’imputazione.
All’epoca dei fatti, nell’ottobre 2021, mentre si trovava con il figlio dodicenne davanti alla clinica Elizabeth Blackwell Health Center, del famigerato abortificio Planned Parenthood, a Filadelfia, Mark Houck avrebbe avuto un alterco con un uomo di 72 anni, un manifestante pro-aborto, che da tempo provocava Houck rivolgendosi direttamente al bambino con insulti e offese. L’uomo, di cui non si conosce il nome, sarebbe caduto a terra, pur senza riportare ferite o traumi. La corte distrettuale di Filadelfia aveva già assolto il padre di famiglia durante il processo della scorsa estate, ma dopo un anno dagli eventi il DOJ torna alla carica, con modalità degne di essere riservate a criminali incalliti.
L’avvocato di Houck, Peter Breen, è dell’opinione che «[…] il Dipartimento di Giustizia del presidente Joe Biden stia spingendo le accuse in quello che si configura come un vero e proprio “procedimento politico”». Una strumentalizzazione, insomma, per intimidire la comunità pro-life di Filadelfia e degli Stati Uniti, in una sorta di rigurgito filo-abortista seguito alla delegittimazione della famigerata sentenza Roe vs Wade del 1973, avvenuta con delibera della Corte Suprema statunitense il 24 giugno scorso, che ha sancito come l’aborto non sia in alcun modo un “diritto” e ha demandato ai singoli Stati dell’Unione di legiferare in proposito.