Anche nella variopinta galassia LGBT+, a quanto pare, la tanto sbandierata inclusione è un concetto che può essere soggetto a revisione. Per questo motivo, può capitare che un uomo pur dichiaratamente omosessuale non sia abbastanza “alternativo” per piacere ai più e che incorra nella disapprovazione sociale nella cerchia cui pensava di appartenere di diritto. È troppo «binario», insomma.
Ben Appel, scrittore, giornalista, newyorchese, l’ha imparato a proprie spese e su questo argomento ha scritto un libro, dal titolo Cis White Gay, in via di pubblicazione da parte della casa editrice indipendente Post Hill Press, negli Stati Uniti d’America.
Appel ha scritto anche un articolo, uscito di recente sul sito web del periodico d’informazione Newsweek, per raccontare la propria esperienza di uomo, bianco, omosessuale eppure discriminato dal mondo LGBT+ di cui pensava di fare parte.
Appellato dalla comunità LGBT+ come «CIS», abbreviazione di «cisgender», cioè come persona che si riconosce nel proprio sesso biologico, a prescindere dalle pulsioni che possa provare eventualmente per persone del proprio sesso, ed è tipicamente un insulto afferma Appel, come se non essere transgender equivalesse a una colpa, nell’articolo l’autore tocca alcuni temi particolarmente sensibili.
Ben Appel, uomo, bianco, omosessuale, afferma di essere/essere stato oggetto di discriminazione in base alla teoria queer per cui non solo i sessi possono cambiare, così, semplicemente, ma in realtà i sessi non esistono e sarebbero solo un sovra-costrutto pensato apposta per controllare e dominare le persone e le masse. E chi non si uniforma a tale pensiero unico è bigotto, retrivo, sorpassato, violento. Troppo maschio per essere buono. «CIS». Egli non è, per dirla con le sue parole, «[…] il tipo giusto di “queer”».
I diritti di Appel, persona omosessuale, «[…] i miei diritti: il diritto di sposarmi, il diritto di prestare servizio nell’esercito senza nascondere la mia identità, il diritto di far parte di questa società patriarcale oppressiva e “ciseteronormativa”», lo renderebbero indegno di essere arruolato nell’esercito dei sedicenti “buoni”.
«Con la proliferazione dei social media», scrive Appel, «che diffondono dogmi ideologici più velocemente di qualsiasi istituzione religiosa nella storia, accademici e attivisti possono ridurre queste teorie a massime appetibili, facili da digerire e rigurgitare, specialmente su piattaforme come Twitter, Tumblr e ora TikTok».
La preoccupazione dell’autore, in tal senso, è tutta per i più giovani, che egli vede in balia di una mentalità sempre più spinta verso l’ideologia in base alla quale i «[…] teorici del pensiero queer insistono sul fatto che sovvertire le categorizzazioni che sono state imposte ai giovani – per esempio, il sesso a cui sono stati “assegnati” alla nascita – è la massima espressione di autonomia e, inoltre, la chiave per liberare la società da un sistema concepito in gran parte, affermano, da uomini bianchi cisgender». E se un ragazzo che ama indossare una gonna a fiori svolazzante non è un problema, secondo quanto afferma Appel, ben diverso è il discorso che riguarda la disforia di genere e le pratiche chirurgiche e ormonali somministrate ai giovanissimi.
Non ci va leggero, Appel, quando scrive che «[…] con crescente frequenza, a questi bambini vengono somministrati farmaci per bloccare la pubertà, ormoni sessuali incrociati e interventi chirurgici irreversibili, il tutto acclamato prima dalle comunità online, poi dai media mainstream e ora dall’attuale amministrazione presidenziale [statunitense]».
Ben Appel dichiara di temere, a volte, alcune persone che egli giudica di mentalità ristretta e retrograda e che possano non accettare la sua omosessualità. «Ma oggi ho ugualmente paura degli attivisti radicali che un tempo desideravo emulare», dichiara, «attivisti che promuovono un’agenda regressiva e antiliberale che reifica gli stereotipi di genere, minimizza la gravità della medicalizzazione a lungo termine e alla fine cerca di abolire la mia identità, perché senza sesso, non c’è omosessualità».