Last updated on Giugno 30th, 2020 at 06:33 am
«La battaglia contro le fake news è spesso strumentale e a servizio di una ideologia: le notizie false ci sono sempre state e vanno smentite con i fatti, non con un’indignazione moralistica che diventa bavaglio per la stampa libera. Emergenza omofobia? Assistiamo a una discriminazione al contrario: si vuole far credere che guardare alla realtà come essa è sia un retaggio del passato per il quale sentirsi in colpa. E il linciaggio che sta subendo J.K. Rowling è l’emblema del nuovo pensiero unico. Ma la Chiesa Cattolica, che è stata pioniera nel mondo della comunicazione, ha ancora qualcosa da dire e qualcosa da fare».
È una fotografia in movimento del giornalismo quella che Monica Mondo scatta per “iFamNews”. Autrice e conduttrice a Tv2000, l’emittente televisiva della Conferenza Episcopale Italiana, dove ogni fine settimana indaga l’anima degli ospiti con il programma Soul, la giornalista affronta senza reticenze la crisi che ferisce la professione della comunicazione oggi in Italia, spia di una più grave crisi di libertà, ma non si ferma lì: c’è infatti ancora spazio per la speranza.
La stampa cartacea vende sempre meno, gli abbonamenti digitali non crescono abbastanza, eppure fino a pochi anni fa il quotidiano sottobraccio contribuiva a identificare lo status politico-ideologico-sociale del lettore. È tutta colpa di Internet? Il giornalismo è malato?
Sicuramente la possibilità di avere gratuitamente un’informazione, pur se superficiale e succinta, ha illuso anche i lettori abituali dei quotidiani di poter ricevere notizie in maniera più smart in qualunque momento. Si è pensato di poter sostituire l’informazione cartacea con quella dello smartphone, credendo che fosse equivalente, ma non è così. Inizialmente i giornali stessi hanno pensato di aumentare i lettori mettendo gli stessi articoli del cartaceo sui propri siti web, ma l’aumento non è arrivato, e quando uno perde lettori, poi non li recupera più. I tre mesi di pandemia hanno ulteriormente affezionato il pubblico agli strumenti digitali.
Resistono gli anziani e una élite di persone che cerca l’approfondimento e che non sempre lo trova. C’è però una responsabilità anche dei giornalisti: i giornali sono diventati collettori di opinioni. Ci sono sempre meno inchieste. Vi è del resto anche una motivazione economica in questo: per condurre inchieste serve un professionista retribuito che impiega magari settimane nella ricerca e nell’indagine. Se un giornale diventa eco di altri media perde la propria importanza.
Infine il problema dell’ideologia, che certamente compatta chi è già schierato, ma che infastidisce: raccontare la realtà con supponenza e con superficialità fa sì che si perda lo sguardo di ampio respiro. L’informazione non può finire. Ma la soluzione alla crisi ancora non si vede.
Nonostante la crisi, il dibattito pubblico sul giornalismo è concentrato sulle fake news. Sulle stesse testate autoproclamatesi paladine in questa battaglia si è però letto per esempio che Eluana Englaro (1970-2009) è morta perché sarebbe stata “staccata una spina dal muro”, che Charlie Gard (2016-2017) “si è spento”, che Vincent Lambert (1976-2019) “non ce l’ha fatta”. Cortocircuiti?
Non credo alla battaglia contro le fake news: la ritengo strumentale, il più delle volte utile a far passare certe idee contro altre. Una battaglia al servizio di una ideologia. Che cosa sono le fake news? Chi decide quali notizie sono fake? Il giornalismo deve distinguere il vero dal falso, con indagini e inchieste. Il più delle volte vengono invece bollate come fake news informazioni scomode per alcuni o non condivise da altri sul piano ideologico. I temi etici sono il terreno sul quale lo scontro delle ideologie si attiva maggiormente, ed è chiaro che chi volesse dimostrare che Eluana era un vegetale, dirà che era tenuta in vita dalle macchine, anche se questo non è reale.
La pillola abortiva viene chiamata «pillola del giorno dopo», e ci si racconta che chi la vuole vietare lo fa per bigottismo retrogrado, insinuando che i problemi di salute che si possono generare nelle donne che la assumono siano solo fake news.
Nel giornalismo le notizie false ci sono sempre state, basti pensare ai servizi falsi realizzati dal professionista che si accontenta della prima fonte che capita. Quando non si vanno più a cercare i fatti e ci si fa guidare dalla propria opinione infondata, dalle proprie idee o dalle direttive di partito e di gruppo, si perde il contatto con la realtà. Pensiamo ai recenti casi di presunti finanziamenti illeciti a certi partiti. Sono fake news? Non lo sono? Si verifichi. Ma servono giorni di inchieste e di ricerche, non il tempo di un hashtag. L’indignazione da sola è sempre moralistica, quindi nemica della verità, e fa molto comodo per tappare la bocca alla stampa libera.
A luglio si discuterà il Ddl Zan. In Italia c’è un’emergenza omofobia? Ci saranno ripercussioni sulla libertà di stampa?
Il fatto che già oggi sia difficile o pericoloso esprimersi su questa questione significa che l’emergenza è indotta e usata per zittire un pensiero diverso. L’emergenza omofobia non esiste. C’è sempre stato un atteggiamento di sospetto, di chiusura e di pregiudizio verso la diversità. Basta andare nei bagni delle scuole e vedere cosa c’è scritto sui muri, per poi scoprire che quegli insulti magari vengono dagli stessi ragazzi dei collettivi che si indignano e che scendono in piazza per il compagno omosessuale insultato. È chiaro che esiste una mala educazione verso la diversità, ma oggi non è un’emergenza.
Oggi alcune minoranze, i cui diritti sono peraltro già tutelati, pretendono di considerare ogni desiderio un diritto e combattono per averlo facendo leva su una discriminazione presunta. Per esempio, non è diritto di nessuno manipolare una donna per avere un figlio. E non è discriminatorio dire che questo non è un diritto. L’azione di lobby che godono di forti appoggi nel mondo dell’informazione e della comunicazione discrimina oggi il pensiero espresso dalla maggioranza della gente. Ci faranno credere, per riprendere una suggestione famosa dello scrittore inglese Gilbert K. Chesterton (1874-1936), che chi vede l’erba verde ha una visione distorta delle cose e deve quindi correggerla.
Il linciaggio che subisce oggi chi non si piega a questi diktat fa presagire un futuro senza libertà di espressione?
Non è un presagio, è il segno di una realtà già in atto. Il caso della Rowling è emblematico. La Rowling è vittima di se stessa. Quando si diventa famosi e ci si erge a paladino di alcune minoranze discriminate, queste poi prendono man mano il sopravvento. E, nonostante la scrittrice abbia sempre difeso i diritti LGBT+, ora viene insultata perché nega l’uniformità di genere. Si pensi pure al fenomeno Me too: una minoranza ben organizzata, che gode di appoggi potenti nel mondo dell’informazione. E chi invece parla suffragato da esperienze biologiche, sociologiche, antropologiche e filosofiche viene considerato un paria. È il caso, per esempio, dei cattolici, per i quali ormai vale l’idea «se dicono queste cose è perché hanno una tara. Lasciamoli pregare nelle chiese e che non chiedano altro». Si assiste, spesso impotenti, alla riduzione del pensiero non omologato a minoranza segregata.
Come si salvano oggi la professione e la libertà?
Si salvano studiando sempre, informandosi ogni giorno, confrontando le notizie e verificando le fonti, parlando con rispetto ma sempre liberamente, senza reticenze e senza genuflessioni.