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C’è una storia che tutti non conoscono. È un romanzo breve, pubblicato nel 1843 dallo scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870) con un titolo lungo come si usava allora: A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost Story of Christmas.
Non lo conosciamo a partire dal titolo. In italiano lo si rende sempre con Canto di Natale. Va bene, per carità, ma nella traduzione ci si perde qualcosa. Anzitutto «carola», che è sì canto, ma che non è solo canzone. È infatti anche danza, festosa, da svolgersi in gruppo, nel salone addobbato come si conviene, tra i profumi delle pietanze e dei liquori. Quindi più che una cantata è un rito. Poi il fatto che il suo suono abbia già dentro l’aroma del Natale. Non è solo un bel canto, ma un gesto gioioso, tutt’uno con il 25 Dicembre. Poi ci si perde pure il «Christ-Mass». Chi ha paura ora della predica, si rilassi. Perché per la sua «Christmas Carol» Dickens non ha avuto bisogno di scomodare Gesù. Gli è bastato lasciarLo fare. Infine quel ghost che sembra stonare nel suo mischiare fantasmi e acqua santa. Solo però perché ci è scordati che Ghost, nella parlata antica, è la Terza Persona della Trinità, e mi ha sempre incuriosito che i ghost del Natale dickensiano siano tre.
In secondo luogo, non sappiamo nulla dell’autore di Canto di Natale, sempre scambiato per qualcosa d’altro, sempre strattonato per la livrea. Basti qui dire che era legatissimo alla famiglia e che ai propri figli amava ri-raccontare la favola vera di Gesù. Qui apposta mi fermo, perché anch’io Lo lascio fare.
Un bel film, diretto nel 2017 dal regista anglo-indiano Bharat Nalluri, The Man Who Invented Christmas, in italiano Dickens. L’uomo che inventò il Natale, ci mostra lo scrittore alle prese con la composizione di Canto di Natale. E allora sì che comprendiamo da dove vengano i fantasmi che popolano il racconto, cosa Dickens volesse trasmettere al mondo con quella sua fiaba, cosa lo angosciasse, come lo si fraintendesse, cosa gli ha in finis liberato l’animo da fardelli altrimenti insopportabili.
Il terzo motivo per cui non conosciamo Canto di Natale è che pensiamo che Ebenezer Scrooge stia là fuori, da qualche parte, cattivo e brutto, poi magicamente buono. Tutte fandonie. È giunta l’ora di dirlo a tutti. Ebenezer Scrooge sono io. Cioè Ebenezer Scrooge sei anche tu, che mi stai leggendo.
Ebenezer Scrooge non è infatti un parto dell’ingestione, come Jacob Marley. Ebenezer Scrooge esiste, vive, è ovunque.
Ebenezer Scrooge sono io che ho avuto dalla vita gioie immense, sono io che ho sprecato della vita cose che non torneranno mai più, sono io che scivolerò dimenticato nella tomba fredda, deriso per la mia grettezza. Ebenezer Scrooge sei infatti anche tu: tu che hai avuto tanto, che hai scialacquato troppo, che ti attende un destino cupo.
Ebenezer Scrooge sono io, a cui oggi, 25 dicembre 2021, è data ancora una possibilità. Sei tu, che puoi ancora sfuggire al male.
Pensiamo sempre agli altri quando vediamo il grugno accigliato di Ebenezer Scrooge svoltare quell’angolo, e così ci perdiamo ancora e sempre il Natale dei giorni futuri.
Canto di Natale non lo conosciamo pure perché non sappiamo più né riconoscere il volto cadaverico di Marley né chiamare «Bob» il solare contabile Robert Cratchit. Eppure stanno sempre seduti alla nostra tavola, ci accompagnano ogni momento lungo le strade, non ci abbandonano mai nemmeno di notte.
E Canto di Natale poi non lo conosciamo perché abbiamo dimenticato come credere ai fantasmi, ai ghost, al Ghost.
In ultimo Canto di Natale davvero io proprio non l’ho mai conosciuto perché penso sempre che siano soltanto mere parole quelle della frase dello Scrooge redento che al mondo dice: «Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di conservarlo tutto l’anno. Vivrò nel passato, nel presente e nel futuro. Gli spiriti di tutti e tre sgomiteranno dentro di me. E io non chiuderò fuori dall’uscio le lezioni che essi insegnano». Il presente che rilancia il tempo nell’eterno, la memoria, la speranza. La lotta interiore, e il mio voto di non farlo più.
No, non è solo letteratura. È la realtà quotidiana: la trasfigurazione dell’uomo che è sempre ancora possibile. Basta solo qualche parola, come di oro sussurrato in una nuvola d’argento, per sprigionare la potenza e affermare Chi e Perché. Lo fa proprio Canto di Natale chiudendo con il piccolo Tim e quelle sue altre parole che ancora una volta non conosciamo perché siamo tutti ancora soltanto il vecchio Scrooge: «Dio ci benedica, tutti!», dove la virgola nel mezzo serve a prendere fiato per non dilapidare la benedizione e impartirla, laica e sacrale, religiosa e dirimente, su ognuno, e potenza di un esclamativo che una volta tanto è sensato.
Io non credo: io sono certo che i tanti Ebenezer Scrooge che si abnegano per combattere la vita, la famiglia e la libertà vera verranno visitati dai tre ghost. Ne sono certo, perché sono certo che visitano continuamente me. E oggi è Natale, quel giorno in cui il logoro Ebenezer nacque per davvero.