No alla maternità surrogata: la Cassazione dubita

Una sentenza interlocutoria sembra avallare la posizione delle "famiglie arcobaleno"

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Last updated on Maggio 15th, 2020 at 11:19 am

1. La Corte di Cassazione, I sezione civile, con l’ordinanza interlocutoria n. 8325/2020 depositata il 29 aprile, sospendendo il giudizio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 co. 6 della legge n. 40/2004, dell’art. 18 del d.p.r. n. 396/2000 e dell’art. 64 co. 1 lett. g) della legge n. 218/95, nella parte in cui non consentono, per contrasto con l’ordine pubblico italiano, la possibilità di riconoscere il provvedimento giudiziario straniero relativo a un bambino nato all’estero attraverso la maternità surrogata e riconosciuto come figlio di una coppia dello stesso sesso.

È legittimo il divieto di trascrivere il nome del “secondo papà” nell’atto anagrafico di un bambino nato all’estero con la tecnica dell'”utero in affitto”? La Corte di cassazione avanza dubbi di costituzionalità. In esclusiva per “iFamnews” l’analisi dettagliata della sentenza dell’alta corte

Il caso posto all’esame della Suprema Corte riguarda la vicenda di due uomini italiani che, dopo aver contratto matrimonio in Canada, nel 2017 lo hanno trascritto in Italia nel registro delle unioni civili e, desiderosi di avere un figlio, hanno fatto ricorso alla maternità surrogata: i gameti sono stati messi a disposizione da uno dei due aspiranti padri, l’ovocita è stato donato da una donna rimasta anonima e la gestazione è avvenuta nell’utero di un’altra donna (non anonima). La questione si è posta con riferimento all’atto di nascita formato all’estero e alla sua riconoscibilità nel nostro ordinamento.

2. Le autorità canadesi avevano dapprima formato un atto di nascita in cui il bambino risultava figlio unicamente dell’uomo che aveva messo a disposizione i gameti, senza alcuna indicazione della donna che aveva partorito il bambino; i due uomini avevano fatto ricorso all’autorità giudiziaria canadese per vedersi riconosciuti entrambi come genitori del minore, con la conseguente modifica dell’atto di nascita. A seguito di una sentenza a loro favore emessa dalla Suprema Corte della British Columbia, i due cittadini italiani si rivolgevano pertanto al Comune di Verona, chiedendo la modifica dell’atto di nascita. Il Comune di Verona si rifiutava di procedere e i due si rivolgevano alla Corte d’Appello di Venezia, presentando un ricorso per l’esecutorietà in Italia della sentenza canadese e la conseguente trascrizione dell’atto di nascita del minore recante l’indicazione dei due uomini quali entrambi genitori. Il ricorso veniva accolto dalla Corte d’Appello di Venezia, per la quale doveva ritenersi imprescindibile l’esigenza di assicurare al minore la conservazione dello status legittimamente acquisito nel paese di nascita, a nulla rilevando la presenza di genitori dello stesso sesso. Contro tale sentenza ricorreva in Cassazione l’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’Interno e del Sindaco di Verona, mentre proponevano ricorso incidentale i due “genitori” same sex.

3. Nell’esaminare la questione fin qui riassunta, la Cassazione ha sospeso il giudizio in attesa della pronuncia della Consulta, dando grande rilievo al parere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo in materia (in base al Protocollo n. 16 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), secondo cui un divieto generale ed assoluto di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore intenzionale sarebbe lesivo dell’identità del minore e del suo diritto alla continuità dello status filiationis, poiché compromette il radicamento del minore nel contesto familiare in cui è nato.

Secondo la Corte di Cassazione, dovrebbe ritenersi non più adeguata la posizione assunta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12193/2019, in quanto inconciliabile con le indicazioni espresse dalla Corte di Strasburgo, dalle quali, a parere della Suprema Corte, non si potrebbe invece prescindere.

Il principio enunciato dalle Sezioni Unite e messo in discussione nell’ordinanza n. 8325/2020 è il seguente: «Il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione».

Per la I sezione civile della Cassazione l’interpretazione delle Sezioni Unite sarebbe di «ostacolo all’inalienabile diritto del minore all’inserimento e alla stabile permanenza del nucleo familiare, inteso come formazione sociale tutelata dalla Carta costituzionale»; infatti, «il disconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti di uno dei due genitori legalmente riconosciuti dall’ordinamento del paese di nascita e di cittadinanza comporta la alterazione dei rapporti familiari con ripercussioni gravemente nocive nei confronti del minore che vede messa in discussione e negata la unicità ed inscindibilità della sua relazione genitoriale».

4. In attesa di ciò che deciderà la Consulta, la questione offre l’occasione per tornare a riflettere sul superiore interesse del minore, con particolare riferimento al modo in cui il concetto viene applicato nei casi come quello in esame.

Nel rispetto dei diritti fondamentali dei bambini, è stato affermato (anche dalla Corte europea nel parere prima citato) che non dovrebbe essere escluso il riconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti del genitore intenzionale che non sia anche genitore biologico. Corrisponderebbe dunque all’interesse del bambino nato per mezzo della maternità surrogata di essere riconosciuto come figlio della coppia omosessuale che lo ha voluto. Del resto ‒ affermano i sostenitori di questa posizione ‒ non si può privare un minore del suo status filiationis, né lo si può sottrarre al suo nucleo familiare di origine, in quanto questo determinerebbe un evidente pregiudizio per il bambino.

Si tratta di argomenti suggestivi e in parte anche corretti, in quanto è innegabile che sarebbe davvero ingiusto privare dei minori del proprio status a causa delle modalità discutibili – e per il nostro ordinamento illecite ‒ con cui sono venuti al mondo. 

Sono questi stessi argomenti, tuttavia, a suggerire che sarebbe allora quanto mai opportuno, proprio in un’ottica di tutela dell’infanzia, evitare il ricorso a pratiche che forzano il diritto e lo piegano alla mera soddisfazione dei desideri, altrimenti irrealizzabili, di diventare genitori. In definitiva, la strategia attuata nei casi come quello in esame consiste nel mettere i giudici e le autorità amministrative competenti di fronte al fatto compiuto di un minore ormai nato, al quale dover garantire l’iscrizione anagrafica per evitare pregiudizi e lesioni dei suoi diritti fondamentali.

5. Ma siamo davvero sicuri che siano i diritti dei minori ad essere posti in primo piano?

A un più attento esame, le argomentazioni che ruotano attorno alla necessità di tutelare i minori generati attraverso la maternità surrogata risultano essere finalizzate alla realizzazione non tanto dell’interesse dei minori quanto, piuttosto, dell’interesse degli adulti di vedere soddisfatto il proprio desiderio di genitorialità.

La dimostrazione di ciò è nel fatto che, da una parte, si manifesta preoccupazione nel tutelare i diritti dei minori in ordine al riconoscimento del legame di filiazione, ma, dall’altra, non si presta alcuna attenzione ai diritti di quegli stessi minori a conoscere, per es., le proprie origini biologiche. Quei minori di cui si ha tanto a cuore il rispetto dello status filiationis sono gli stessi minori ai quali fin dall’inizio viene alterato lo status giuridico, in quanto non vi è coincidenza negli atti anagrafici fra le persone che hanno partecipato a vario titolo al loro concepimento e alla loro nascita e coloro che vengono invece indicati come genitori.

Nel Preambolo della Convenzione di New York del 1989 – citata anche nell’ordinanza n. 8325 del 2020 ‒ si afferma che «la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività». Inoltre, si riconosce l’importanza del fatto che il fanciullo «ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione».

Fra gli elementi riconosciuti dalla Convenzione di New York come fondamentali per una crescita sana ed armoniosa di ogni bambino, vi è dunque la comprensione, ossia quella capacità di capire l’altro a livello profondo, non solo quindi sul piano cognitivo, ma anche sul piano affettivo e psicologico. Una comprensione che però non sembra esservi per i minori che vengono fatti nascere attraverso la maternità surrogata, dando per scontato che il ricorso a quelle pratiche non leda i loro diritti fondamentali e non costituisca alcun problema per il loro equilibrato sviluppo psicofisico, quando invece uno dei primi bisogni manifestati dal bambino è quello di conferire senso alle proprie esperienze e trovare una risposta agli “interrogativi esistenziali” che affiorano nel suo animo già dai primi anni di vita.

Tale atteggiamento cela forse l’idea per cui il minore non viene affatto preso in considerazione come persona avente una sua dignità, bensì principalmente come oggetto attraverso cui realizzare le proprie aspettative genitoriali. Se il minore fosse infatti considerato come persona avente una sua dignità, sarebbe implicito ritenere illegittimo il ricorso a pratiche volte a incidere sulla sua esistenza biologica, posto che non si può ignorare l’artificiosità della maternità surrogata, oltre alla lesività della dignità della donna.

Il minore che viene alla luce attraverso la maternità surrogata si trova ab origine inserito in un contesto artefatto: non fa in tempo a nascere che già vengono dette bugie sul suo status, attribuendo la genitorialità anche a chi magari non ha “contribuito” alla nascita sotto il profilo biologico ma esclusivamente attraverso la dazione di denaro elargito a vario titolo a coloro che hanno preso parte al “progetto nascita”.

Oltre alla parola comprensione sopra citata, rileva la parola rispetto: il rispetto per la vita umana, che deve essere preservata dall’abuso della tecnica, contro quella sempre più diffusa tentazione di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura. Rileva la parola responsabilità: essa esige una riflessione sugli effetti anche a lungo termine della legittimazione della maternità surrogata, non solo con riferimento ai singoli minori coinvolti e alla loro identità, alle donne che si prestano (il più delle volte spinte dal bisogno) a queste pratiche o offrendo i propri ovociti o portando avanti la gravidanza, ma anche per l’intera collettività, sempre più incline a lasciarsi sedurre dalle promesse di libertà senza limiti. Come nel caso in esame che, in definitiva, ha trovato origine dalla rivendicazione del diritto ad essere genitori ad ogni costo. 

Attendiamo quindi la pronuncia della Consulta, dopo che la 1^ sezione civile della Cassazione si è posta in contrasto con l’interpretazione delle SS.UU. di appena un anno fa.

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