Se una delle nostre lettrici sorprendesse il marito davanti allo schermo del televisore, dello smartphone o del computer a rimbambirsi di donne tarantolate che si avvitano lascive spalancando le gambe in modalità ginecologica, toccandosi lubriche il seno, mimando baci e carezze lesbiche, mentre la telecamera s’intrufola nelle loro aree genitali e ne ingigantisce i fondoschiena, non è improbabile che, passato lo sbigottimento iniziale, ci scappi pure un ceffone.
Se le immagini fossero di bambine di appena 11 anni, quella ipotetica nostra lettrice ribalterebbe il marito e chiamerebbe il 113 al grido di «pedofilo».
Ebbene c’è un film di produzione francese, uscito nel mondo il 9 settembre dopo essere stato lanciato in Francia il 19 agosto, che racconta la storia semiautobiografica della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré, allorché da piccoletta restò ammaliata da un gruppetto di baby dancer di twerking, l’arte, cioè, di shakerare il bacino come un minipimer per produrre sommovimenti tellurici delle natiche sensuali quanto il ribollire di un pentolone industriale di ragù, mandando in crisi la mamma musulmana e i valori a cui aveva cercato di educarla.
Il film si intitola Mignonnes, è noto con il suo nome ubiquo inglese Cuties e da noi suona Donne ai primi passi. Chiunque lo può vedere su Netflix, l’imperversante piattaforma streaming che oggi se non ce l’hai sei un impotente.
Per la pellicola uscire dalla fanciullezza significa entrare nel mondo della malizia ipersessualizzata ed è quindi così che le piccole protagoniste vengono immortalate. Ma allora come decidiamo di definirlo un film in cui bamboline con il sex-appeal di un manga al cui confronto la “lolita” di Vladimir Nabokov (e dei Police) era una stagionata carampana, reginette della sguaiatezza fake così fintamente precoci da far cadere le braccia, ammiccano, sculettano, si pastrugnano, si espongono alla telecamera dopo essere state chissà quanto a lungo studiate, radiografate, sbavate dagli adulti sul set, addirittura Amy, la protagonista, in una scena, si cala i leggings (o quel che diamine sono) e se la fotografa con un cellulare?
Voi una pellicola così come la chiamate? E chiamate anche il 113? Oppure continuate a pagare l’abbonamento a Netflix?
Sì, io il film non l’ho visto, e probabilmente non lo vedrò mai. Relata refero. Ma è stato il “giallo” del parental warning a svegliarmi di soprassalto.
IMDb, cioè Internet Movie Database, è un sito di informazioni tempestive su tutto quanto accade nel mondo del cinema. Appartiene ad Amazon. Ne esiste pura una versione a pagamento (IMDb Pro) per chi voglia farsi pubblicità. Non è la bibbia del cinema, ma poco ci manca. Il 10 settembre la pagina dedicata a Donne ai primi passi–Cuties su IMDb pubblicava caveat da giornalino hard. Compariva pure la parola-mostro «pedofilia». Passata qualche ora, sulla pagina web del sito tutto era stata calmierato in un surrealistico «il film parla di bimbe undicenni che ballano in maniera molto suggestiva». Davvero ne uccide più la parola che la spada.
Per reagire a questa ignominia abbiamo, dunque, promosso una petizione. Chiediamo ai dirigenti di Netflix di ritirare Donne ai primi passi–Cuties dalla distribuzione e di scusarsi con il pubblico per il raggiro. Firmala subito, per favore, e falla firmare subito a tutti i tuoi amici e a tutti i tuoi conoscenti. Possibile che non ti indigni di pagare Netflix che poi propina ai tuoi bambini e a te questa immondizia?
Non amiamo la censura e ci sforziamo di essere parrucconi il meno possibile. Ma davvero non ci capacitiamo di come, in un mondo che usma e stigmatizza la pedofilia in ogni angolo e cantuccio, una pellicola così sia a portata di qualsiasi clic.
Pensa: una di quelle bambine esposte allo stupro delle telecamere da Netflix per aumentare i dividendi, alzare lo share e avanzare nella colonizzazione dell’etere e della rete potrebbe essere tua figlia. Anche il film più realista ha il potere di estraniare, spersonalizzare, allontanare. Ma quando vedi una bimbetta acerba, inadatta e petulante che ignara si tuffa a pesce nel cassonetto del pattume della sessualizzazione greve e maleodorante, perché un adulto le ha fatto credere che se si lascia sbirciare sotto la gonna salendo le scale diventa grande più in fretta, telefoni subito a casa. La bambolina sciocchina sullo schermo esce dall’anonimato e prende il nome di tua figlia, il volto di tua figlia, la data di nascita di tua figlia, l’indirizzo di quella casa dove da sempre cerchi di proteggere tua figlia dall’orco. Una delle cose che più personalmente mi angoscia è la regista, donna, ex bambina, coinvolta personalmente in questa storia. Forse adulta non lo è diventata mai. E Netflix?