Last updated on Febbraio 15th, 2020 at 12:20 am
È foriera di forti reazioni la decisione del Consiglio della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (FNOMcEO) di modificare il Codice deontologico. Adeguandosi alla sentenza della Corte costituzionale, resa nota il 25 settembre, il Consiglio nazionale FNOMcEO, composto dai 106 presidenti degli Ordini territoriali, ha depenalizzato l’aiuto al suicidio.
Per il neurochirurgo Massimo Gandolfini, presidente del comitato Difendiamo i nostri figli, si tratta di «una decisione sconcertante» con cui la FNOMcEO «ha di fatto rinnegato il giuramento di Ippocrate che obbliga il medico a non effettuare mai atti finalizzati a provocare la morte (art. 17)». È profonda l’amarezza che trapela dalle sue parole: «Come medico con oltre quarant’anni di professione alle spalle oggi è un giorno tristissimo, si rinnegano migliaia di anni di principi deontologici per adeguarsi ad una cultura mortifera che colpirà i più fragili, che mortificati dall’abbandono terapeutico e dalle esigenze di risparmio richiederanno di farla finita». «D’altra parte la sentenza della Consulta», aggiunge Gandolfini, «consente l’aiuto al suicidio anche per “sofferenze psicologiche intollerabili”. Dovere dei medici era quello di non piegare la testa a diktat di una società dello scarto, votata a una auto determinazione che si traduce nell’eliminazione del più debole».
Prova invece a smorzare la polemica il prof. Filippo Anelli, presidente della FNOMcEO, il quale, sentito da “IFamNews”, sottolinea che «i medici, in quanto apparati dello Stato, in un’ottica di sussidiarietà, hanno il dovere di adeguarsi alle decisioni della Corte costituzionale». Il medico ritiene dunque che questa modifica fosse inevitabile. A suo avviso, comunque, «la sentenza è equilibrata, perché tutela gli assistiti definendo confini netti, prevedendo la non punibilità per l’aiuto al suicidio assistito solo in casi particolari». Non solo. Anelli rileva anche che la nuova norma «non obbliga a porre in atto l’aiuto al suicidio, ma affida alla coscienza del singolo medico la scelta se prestarsi o meno ad esaudire la richiesta del malato». Pertanto, conclude, «restano fermi i princìpi dell’art. 17 e non c’è un tradimento del Giuramento di Ippocrate».
La pensa diversamente la psichiatra e senatrice Paola Binetti, di Forza Italia, che ribatte: «Se è vero che restano fermi i princìpi dell’articolo 17, secondo i quali il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte, allora qualcosa non funziona sulla base del principio di non contraddizione». E dunque aggiunge: «Secondo la Corte al di fuori dell’area delimitata, l’aiuto al suicidio non è, di per sé, in contrasto con la Costituzione ma è giustificata da esigenze di tutela del diritto alla vita, specie delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento intende proteggere evitando interferenze esterne». «Mistero delle parole che riescono ad esprimere tutto è il contrario di tutto», conclude la Binetti.
Sentito da “IFamNews”, il magistrato Alfredo Mantovano, vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino, si chiede «perché modificare il codice quando la sentenza rinvia a esso in modo diretto?». Del resto, osserva il magistrato, la Corte costituzionale «riconosce al medico la valutazione caso per caso, avendo come faro esclusivo la propria coscienza. Ebbene, la “coscienza del singolo medico”, a propria volta, non è anarchica: i suoi parametri di riferimento costituiscono il codice deontologico della professione che esercita, nel caso specifico l’art. 17».