Missionari della famiglia, missionari dell’ovvio

Un quadro impietoso nel nuovo Rapporto del Centro Internazionale Studi Famiglia. E la necessità di pensarla nuova

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Last updated on Ottobre 13th, 2020 at 03:26 pm

Due sono gli aspetti all’ordine del giorno sul tema della famiglia che meritano di essere affrontati assieme. Il primo riguarda la proposta di legge sull’«omo/transfobia», la cui discussione alla Camera dei deputati è calendarizzata il 20 ottobre; la seconda riguarda il futuro della famiglia stessa, così come viene sintetizzato nell’espressione «società post-familiare» che compare in La famiglia nella società postfamiliare. Nuovo rapporto CISF 2020, laddove il CISF è il Centro Internazionale Studi Famiglia: «Stiamo entrando in una società post-famigliare. Una società in cui le famiglie si andranno frammentando, scomponendosi e ricomponendosi sulla base di giochi relazionali che abbandonano la struttura sociale sui generis della famiglia come intreccio fra la relazione sponsale e quella generazionale. Su queste relazioni si preannunciano i giochi più impensati» (pp. 27-28).

La situazione oggi

Mentre il primo aspetto riguarda il presente, e inquieta tantissimo per la portata liberticida della proposta di legge che ha come primo firmatario l’on. Alessandro Zan, il secondo riguarda uno scenario culturale che è già fra noi, come testimoniano i dati forniti dal citato “Rapporto 2020”, ma che getta sul futuro ombre cupe: «Al dicembre 2019, la fotografia è la seguente. Il 60,9% delle famiglie italiane ha al massimo due componenti. Le famiglie che hanno più di quattro componenti sono ridotte al lumicino (4,8%). Prevale la famiglia ridotta a coppia (31,7%) […]. Al dicembre 2019, una famiglia su tre è “single”» (pp. 34-35). Se questo è il quadro attuale, quale sarà quello dei prossimi anni?

Come viene attaccata la famiglia?

È utile notare come oggi la famiglia non venga disprezzata in quanto tale, ma decostruita, smontata pezzo per pezzo, e ricostruita secondo altri modelli antropologici, come spiega bene il sociologo Pierpaolo Donati nel suo contributo al “Rapporto”: «[…] l’edificio della famiglia non viene distrutto, ma invece de-costruito, smontato pezzo per pezzo, e rimontato a seconda delle strategie del momento. Alla fine, abbiamo tanti pezzi che si possono usare come nel gioco del lego. I giochi sono “a briglia sciolta”. Il nome di famiglia finisce per risultare vuoto, e possiamo dire: stat familia pristina nomine, nomina nuda tenemus (la famiglia esiste solo nel nome, abbiamo solo nomi nudi)» (p. 41).

L’immagine della famiglia viene insomma colpita per come essa è ed è stata sinora, nel rispetto della natura della persona umana, maschio e femmina, e valorizzandone la capacità di generare figli in una comunione fra due persone disposte a donarsi reciprocamente per sempre: «Nelle società del passato», scrive ancora Donati, «i quattro elementi erano tenuti assieme da una tradizione comunitaria a sfondo religioso che è ormai pressoché scomparsa. La secolarizzazione ha reso contingenti i quattro elementi (dono, reciprocità, sessualità, generatività) slegandoli e facendoli combinare fra loro in “altri” modi. Per la cultura postmoderna, il dono gratuito è impossibile o addirittura sempre avvelenato; la reciprocità è sostituita dall’aspettativa che l’altro soddisfi le proprie esigenze, altrimenti si abbandona il campo […]; la sessualità è sempre meno regolata e staccata dall’identità di genere; la generatività risponde a motivazioni di tipo narcisistico o è sottoposta al calcolo costi-benefici» (p. 45).

Che fare?

Bisogna comprendere che una profonda rivoluzione antropologica ha cambiato il contesto umano nel quale stiamo vivendo. Se i dati forniti descrivono la realtà, significa che quest’ultima è profondamente cambiata, nel senso che la rivoluzione antropologica iniziata alla metà del XX secolo e che porta il nome dell’anno in cui è esplosa, il 1968, ha lasciato segni profondi: «La famiglia, in quanto tale, è stata abbandonata a sé stessa per dare spazio a un individuo teso a sperimentare tutte le libertà dei “possibili altrimenti”. Oggi siamo nella fase storica di espansione di un Individuo autoreferenziale che pensa di definire sé stesso e le sue relazioni così come vuole» (p. 58).

Tuttavia questo individuo può cambiare. Nella storia è accaduto tante altre volte. I pagani sono cambiati a contatto con i cristiani nei primi tre secoli. Anche ai barbari accadde la stessa cosa incontrando la Chiesa durante le invasioni nell’Alto Medioevo. Può succedere insomma anche agli uomini post-moderni del nostro tempo. Scrive sempre Donati: «Questo individuo “aumentato” si ritroverà senza un “Io” che lo possa sorreggere, e allora cercherà relazioni che gli possano dare un senso vitale» (ibidem).

Cercherà relazioni, appunto, quelle vere, fondate non sul piacere, ma sulla verità. Allora capirà che la famiglia non è la somma di diversi individui che stanno insieme solo perché provano piacere, ma è un impegno stabile e per sempre per un progetto di relazioni umane che permette di affrontare insieme la vita, le sue gioie e le sue difficoltà.

Insomma, si può cambiare orientamento, anche oggi. E se questo non avviene, tutto il resto non sarà sufficiente. È ovvio che si debba fare tutto il possibile per impedire la legalizzazione del progetto sull’«omo/transfobia», anche scendendo in piazza, se necessario, e impegnandosi a spiegarne ovunque la carica liberticida.

Ma occorre anche essere realisti: il parlamento oggi ha le maggioranze politiche che ha. E allora ci si deve chiedere: dopo il divorzio (1970), dopo l’aborto (1978), dopo le unioni civili (2016) e il fine vita che apre all’eutanasia (2017), domani con una legge che potrebbe condurci a processo se dicessimo la verità sul matrimonio e sulla stessa identità sessuale della persona, dopo questa profonda rivoluzione in corso, che cosa faremo? Ci arrenderemo perché non siamo riusciti a impedire la legalizzazione di queste leggi?

È la tentazione più sottile e più grave che incombe su ciascuno di noi: lo scoraggiamento dopo tante sconfitte, la rinuncia a combattere, la divisione rancorosa, la ricerca di un capro espiatorio e infine l’accettazione dello status quo.

L’alternativa

Oppure si può iniziare il cammino verso un’altra direzione, per costruire qualcosa di diverso, diventando missionari della famiglia, missionari dell’ovvio.

Come? Ricette non ce ne sono. Ma una cosa si può sicuramente dire: le famiglie, le poche famiglie che ancora nascono, non possono farcela da sole. Per sopravvivere hanno bisogno di un ambiente. Hanno bisogno di legarsi fra loro, di creare un “pezzo di società” dove mandare i figli a studiare, di una serie di relazioni attraverso cui sfuggire all’isolamento, alla solitudine, allo scoraggiamento. E questi ambienti vanno costruiti e difesi, come spazi di libertà necessari, indispensabili. Ci sarà da combattere, certo. Lo dice anche Donati: «Le famiglie come tali dovranno lottare per trovare la loro identità. Dovranno costruire un nuovo ordine familiare, che comunque sarà un ordine costruito sull’orlo del caos» (p. 59). Sarà una strada lunga e difficile, piena di insidie e di trabocchetti, ma del resto non ci è stato promesso nulla di diverso.

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