L’onda gay che corre dal Giappone all’Italia

Breve viaggio nella pretesa LGBT+ di normare ciò che è già normato, a scapito dei diritti di chi non si allinea al pensiero unico

Cartina del Giappone colorata con la bandiera arcobaleno LGBT

Image from Wikipedia

Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:01 am

La società giapponese Dentsu Inc. definisce il proprio core business come «integrated communication design» e infatti si occupa di fornire soluzioni integrate per comunicazione e servizi di gestione e consulenza aziendale. È un’impresa di lunga tradizione, che al 1° gennaio di quest’anno contava 6.935 dipendenti e un capitale sociale di 10mila milioni di yen.

Fra le attività della compagnia rientra anche la realizzazione di sondaggi su temi rilevanti che evidentemente richiamano l’attenzione dei committenti, fra cui, per esempio, quello dell’ottobre 2018 che vedrebbe il 78% dei giapponesi tra i 20 e i 59 anni favorevoli ai “matrimoni” fra persone dello stesso sesso, “matrimoni” che però oggi nel Paese del Sol levante sono illegali. Come da cliché, i giovani sarebbero maggiormente schierati a favore, così come le donne (l’87,9%, rispetto al 69,2% degli uomini).

“iFamNews”, del resto, ha già avuto occasione per sottolineare l’interesse strumentale del mondo della pubblicità e della comunicazione per temi dichiaratamente LGBT+, per esempio nel caso di taluni famosi brand di caffé italiani e statunitensi.

Ora, il primo ministro nipponico, Shinzo Abe, del Partito Liberale Democratico, sostiene però l’illegittimità del “matrimonio” same sex in Giappone sulla base dell’articolo 24 della Costituzione, la quale afferma che «il matrimonio può basarsi esclusivamente sul mutuo consenso di entrambi i sessi ».

In realtà, alcune sezioni territoriali delle grandi città giapponesi, per esempio i quartieri speciali di Shibuya e Setagaya a Tokyo, riconoscono il partenariato omosessuale, così come fanno le prefetture di Ibaraki e di Osaka, al punto che oggi circa 50 amministrazioni locali del Paese ammettono la partnership tra persone dello stesso sesso. Ciò significa che esistono e che sono riconosciuti anche alcuni diritti, che riguardano per esempio le visite in ospedale al compagno o alla compagna, oppure l’assegnazione alle coppie di appartamenti in affitto.  

A oggi, insomma, nella capitale e nel resto del Paese la situazione presenta elementi di ambiguità, e ciò fa sì che le associazioni pro-LGBT, quali per esempio Equaldex, nel fornire dati e analisi tendano piuttosto a sottolinearne le criticità.

È vero però che la Costituzione giapponese, in vigore dal 1947, promette pari diritti a tutti i cittadini, e che questo venga ampiamente interpretato come estensione di tutti i diritti, compreso il matrimonio, anche alle persone LGBT+.

È facile allora avvertire anche in Italia una eco di situazioni analoghe quando si parla dell’ormai famigerato «Ddl Zan», il cosiddetto decreto “antiomofobia”, che pretenderebbe di normare una condizione già ampiamente normata dalla Costituzione italiana: non è lecito discriminare o usare violenza a nessuno, oggi, per nessun motivo, e le leggi vigenti sono largamente sufficienti per garantire i diritti di ciascuno, oltre che per reprimere e per punire qualsiasi forma di aggressione, ai danni di chiunque. 

Ciò che invece non sarebbe garantito, se il 27 luglio passassero a Montecitorio le modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter, sarebbe piuttosto la libertà di pensiero, di opinione e di parola.

 [

Exit mobile version