LGBT+, il diritto di cambiare

In Canada chi aiuta rischia il carcere

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Last updated on Gennaio 29th, 2021 at 07:16 am

Il Canada si appresta ad approvare l’ennesima riforma ultra-liberal: la messa al bando delle terapie riparative che possano rimediare la disforia di genere. In parlamento e nel Paese la concordia sul progetto di legge sembra pressoché unanime. Anche i leader religiosi plaudono all’innovazione, ma, come sempre, se si guarda il caso con la lente d’ingrandimento, si scopre una realtà piuttosto diversa. E il risultato immancabile sarà quello di gettare il bambino assieme all’acqua sporca, mettendo sullo stesso piano pratiche molto diverse, alcune da condannare con fermezza ed evitare senz’altro, altre buone, che non hanno nulla a che vedere con gli abusi, anzi.

Attraverso il Bill C-6, che sostituirà il Bill C-8 cestinato per riformare alcuni articoli del Codice penale, si definirà «conversion therapy» qualunque «pratica che cerchi di rendere eterosessuale l’orientamento sessuale di un individuo oppure di cambiare l’identità di genere di qualcuno, associandola al sesso che gli è stato assegnato alla nascita». Il preambolo del Bill C-6 insiste sul fatto che le terapie riparative (o di conversione) causerebbero «danni» ai pazienti che le ricevono, «specie se bambini».

Del resto l’intento ideologico del progetto di legge si avverte in particolare quando viene affermato che, in senso lato, le terapie riparative «danneggiano l’intera società, promuovendo miti e stereotipi sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere».

Psicologi e preti

L’unico spiraglio che si offre alle terapie riparative è la loro somministrazione nei confronti di un «adulto consenziente», ma solo ed esclusivamente se svolte «a titolo gratuito». Chiunque sottoponga una persona a terapie riparative, genitori compresi, ai sensi del Bill C-6 rischierebbe insomma fino a cinque anni di carcere.

A sostegno delle proprie posizioni, gli estensori del Bill C-6 riportano una serie di studi che dimostrerebbero le conseguenze negative subite da pazienti sottoposti a terapie riparative: perdita del desiderio sessuale, depressione, tendenze suicide, ansia, impotenza e altre disfunzioni relazionali.

In opposizione alle terapie riparative si sono schierati, tra gli altri, la Canadian Psychological Association, la Canadian Psychiatric Association, la American Psychiatric Association e la American Psychological Association, ma il rapporto pubblicato sul sito del parlamento canadese rimarca anche che i princìpi religiosi, spesso connessi al concetto di terapia riparativa, verrebbero messi in discussione dal nuovo approccio della maggior parte delle «Chiese cristiane» e delle «altre denominazioni religiose», le quali oggi punterebbero piuttosto al «sostegno per le persone LGBTQ2+, ma non a cambiarne l’orientamento sessuale o l’identità di genere». Ed effettivamente sono numerosi i leader religiosi che hanno preso le distanze da questa pratica, sebbene le loro convinzioni non rappresentino le posizioni ufficiali delle loro comunità: tra questi vi è l’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu e il rabbino David Rosen.

L’opposizione

Ora, nonostante il Bill C-6 sia stato già approvato dalla Camera dei Comuni canadese in modo trasversale e con numeri plebiscitari (308 favorevoli e appena 7 contrari), il malcontento sta tracimando.

Campaign Life Coalition (CLC) ha lanciato la campagna Stop the Ban, basata sulle testimonianze di persone che dichiarano di avere invece tratto beneficio notevole dalle terapie riparative. «C’è molta disinformazione in giro e i canadesi devono sapere la verità su questo progetto di legge», dichiara Jeff Gunnarson, presidente di CLC, progetto di legge «che rappresenta un attacco senza precedenti ai diritti civili e alla libertà religiosa».

A rischiare fino a cinque anni di carcere non sarebbero infatti soltanto i genitori, ma anche «i pastori che forniscono guida spirituale e i terapeuti del counselling a servizio di persone che di propria spontanea volontà chiedono aiuto per quelle inclinazioni sessuali che non desiderano».

La CLC ha anche lanciato una petizione contro il Bill C-6, che ha quasi raggiunto le 17mila adesioni. «È sbagliato negare alle persone attratte dal proprio stesso sesso e confuse sul proprio genere la possibilità di intraprendere, se lo desiderano, un cambiamento di orientamento, identità o comportamento», dice la petizione.

Come in Germania e in Australia

Secondo la CLC, le persone che vivono «un’attrazione per il proprio stesso sesso o una disforia di genere indesiderate» debbono poter conservare «la libertà di cercare consigli e/o trattamenti medici, psicologici o spirituali che ne ottengano la guarigione e il benessere spirituali». Le persone che si identificano come LGBT+ hanno cioè il «diritto di cambiare» e non si deve negare loro l’accesso ai servizi forniti da «persone qualificate in grado di aiutarle». Insomma, il governo canadese «non ha il diritto» di intromettersi nell’attività di «dottori e psicologi», né di impedire a Chiese e a consiglieri spirituali di aiutare chi si rivolge loro. Si tratterebbe, conclude il testo della petizione, di una pretesa «totalitaria» e di una «violazione dei diritti fondamentali di chi vuole cambiare». Una legge simile a quella in corso di approvazione in Canada è entrata in vigore in Germania in maggio e prevede sanzioni anche per i genitori che autorizzino i figli a sottoporsi a counseling di propria volontà. Peggio ancora quella che sta per essere definitivamente approvata nello Stato federale australiano di Victoria. Ebbene, qui non è in questione la condanna di abusi da parte di “terapeuti” dalla professionalità improvvisata. È la libertà di chi ha deciso di uscire da un incubo che va tutelata.

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