Le bugie di Lilli Gruber sull’aborto

No, cara collega: l’aborto non è un affare privato della donna sul proprio corpo. È uccidere un’altra persona, martoriare un altro corpo

Lilli Gruber

Parlando di aborto, Lilli Gruber scrive: «[…] è sempre sul corpo, oltre che sulla psiche, della donna, che si gioca la partita». Bugia mastodontica. La partita dell’aborto si gioca sempre sul corpo del bambino che sta nel grembo della mamma, ammazzato senza né difesa né appello.

La collega firma questa bugia in una risposta data a una lettrice su Sette, il magazine del Corriere della Sera del 22 luglio. La collega butta via la vita di milioni di bambini in qualche rigo, tuonando, in grassetto, «il diritto all’interruzione di gravidanza è un diritto inalienabile della donna» e appoggia l’affermazione con una citazione di Amnesty International: «l’accesso all’aborto sicuro è un diritto umano».

Già «iFamNews» ha avuto occasione di notare che, se Amnesty International è nata ed esiste per difendere i diritti umani calpestati, è assai singolare che si schieri dalla parte di chi annienta totalmente e definitivamente i diritti umani di una piccola creatura umana indifesa, sopprimendola.

Adesso «iFamnNews» nota che evidentemente Amnesty International non sa quel che dice, e la Gruber a ruota. Perché dire, come fa Amnesty International, citato dalla Gruber, che «le decisioni sul proprio corpo devono essere fatte dal singolo nel rispetto del diritto all’autonomia e all’integrità corporea» è esattamente un grido contro l’aborto.

Cara Amnesty, cara Lilli, se «le decisioni sul proprio corpo devono essere fatte dal singolo nel rispetto del diritto all’autonomia e all’integrità corporea», ammazzare un altro, per esempio il bambino nel grembo della propria mamma attraverso l’aborto, è la violazione inaudita di un principio che voi stessi difendete.

Su Sette la Gruber chiude la risposta alla lettrice con un contendente «Chiaro?», fucilato alla fine della suddetta citazione di Amnesty International che serve proprio per rifiutare l’aborto. Sì, ad «iFamnNews» è tutto chiaro. E alla Gruber?

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