Last updated on Ottobre 3rd, 2021 at 04:28 am
L’Unione Europea (UE) è una repubblica fondata sull’ideologia LGBT+. Se non vi piace, peggio per voi.
Ieri l’assemblea plenaria del Parlamento Europeo ha approvato – con 387 voti favorevoli, 161 contrari e 123 astensioni – una risoluzione che vorrebbe imporre a tutti i Paesi che ne fanno parte il riconoscimento dei “matrimoni” registrati in uno Stato membro. Ne dà notizia una minaccia camuffata da comunicato stampa.
Come tutte le minacce, anche questa adopera l’arma intimidatoria della violenza. La prima violenza è linguistica, cioè concettuale. Le virgolette, qui sopra, alla parola «matrimoni» in relazione alle unioni LGBT+ le ho messe infatti io, mica Bruxelles. Bruxelles dà infatti per assodato che l’unione omosessuale sia un “matrimonio”. Non lo è.
«Matrimonio» è vocabolo composto dai latini mater, «madre», e munus, «compito», e non significa – come intenderebbero i beceri sia pro sia contro – che la donna è una mera fattrice seriale e compulsiva di prole. Significa che, laddove la donna è colta nella propria dimensione maternale – dimensione, questa, sostanziale della donna, bensì non esclusiva: lo sottolineo per scansare ancora i beceri –, il legame tra la madre e i figli è necessario di quella necessità di cui bene parla la filosofia (sempre enormi i padri latini: necessarius è il composto di ne e di cedere, significando «ciò da cui non c’è modo di ritirarsi»). L’unione fra due uomini, quindi, non può essere mai “matrimonio”. Quanto a quello fra due donne, nemmeno esso è “matrimonio” poiché, per procreare, deve contemplare necessariamente l’adulterio. Resta la possibilità dell’unione omosessuale senza figli: essendo questa terza fattispecie la negazione positiva del legame necessario fra madre e figli, è però pure essa priva del diritto di chiamarsi “matrimonio”.
Ma la UE ci passa sopra come un caterpillar e impone questa fake news con un rullo compressore, perché, Humpty Dumpty lo sa bene, le parole significano ciò che il potere ha deciso esse significhino.
La violenza della UE prosegue quindi affermando che le “famiglie arcobaleno” dovrebbero godere degli stessi diritti di ricongiungimento familiare degli altri. Pure in questo caso le virgolette sono solo mie. Questa seconda violenza è mera reiterazione della prima. La famiglia è fondata sul matrimonio, quindi senza matrimonio non c’è famiglia. Che senza matrimonio non esista famiglia non è però il sottoscritto a sostenerlo proditoriamente, bensì i fautori dell’ideologia LGBT+, e anche la UE che ne impone i diktat, a sostenerlo candidamente. Come essi dicono “matrimonio” nel caso di unioni omosessuali, così infatti dicono “famiglia” per l’istituzione che ne nascerebbe. Ma se, come detto, le unioni LGBT+ non sono matrimonio, allora non danno vita ad alcuna “famiglia arcobaleno”.
La terza violenza sta nel fatto che questa minaccia camuffata da comunicato stampa veicola una dichiarazione di guerra contro Polonia, Romania e Ungheria, Paesi che si ostinano a ripetere né più né meno i ragionamenti sin qui esposti.
Ma perché mai Varsavia, Bucarest e Budapest dovrebbero riconoscere un fatto che non sussiste? Perché oramai anche la UE è una violenza in se stessa: dovrebbe essere l’unione di Paesi e popoli e culture del Vecchio Continente figli di una storia comune e civiltà di un ethos condiviso, e invece è il campo in cui, con il pugno di ferro del ricatto economico-politico e l’arma della punizione, una leadership ideocratica impone il linguaggio-potere di Humpty Dumpty.