Last updated on Maggio 19th, 2020 at 05:06 am
Chi sa se nel 1940 l’attore e regista inglese Charlie Chaplin (1889-1977), quando ha scritto, diretto, musicato, prodotto e interpretato Il grande dittatore, ha immaginato che il mondo dell’advertising avrebbe sfruttato quello che è stato giudicato un capolavoro, candidato nel ’41 al Premio Oscar in cinque categorie, per pubblicizzare un banalissimo caffè.
La parodia satirica del nazionalsocialismo tedesco, che prendeva di mira il pensiero unico, e ciò che un pugno di uomini, mentendo, aveva instillato nelle menti di tanti, stigmatizzandone vizi e vezzi, oggi è infatti la colonna sonora di uno spot patinato e ideato con maestria da Armando Testa per promuovere la nota marca italiana di caffè Lavazza. Spot che include, come di prammatica, il fotogramma con bacio lesbico a suggello di modernità, community, globalizzazione, think positive.
Peccato che in realtà Chaplin citasse il Vangelo secondo san Luca, condannasse l’avidità, la menzogna, il totalitarismo e desiderasse un mondo ragionevole.
Invece dopo il Belgio di Douwe Egberts e gli Stati Uniti d’America di Starbucks, anche la casa produttrice di Torino, label italiana doc, propone al proprio pubblico d’elezione, i millennial ormai non più in giro per localini trendy ma, causa coronavirus, accoccolati sul divano di casa, quello che immagina essere il vessillo e il baluardo del mondo nuovo, finalmente libero da vincoli e da condizionamenti, un mondo in cui l’uomo pensi e senta e viva felice, altruista, in comunione con la natura e con gli altri uomini.
Si tratta di un incontro perfetto fra marketing aspirazionale e marchetta, se la trivialità è consentita. Sulla scia ormai consueta del cosiddetto “effetto Barilla”, che trae il nome dall’autodafé cui è stato costretto il “povero” Guido Barilla dopo aver dichiarato pubblicamente che la nota marca di pasta, quella del gattino bagnato raccolto sotto la pioggia, quello della bimba cambogiana adottata dalla famiglia del Mulino Bianco, sarebbe stata sempre schierata dalla parte della famiglia tradizionale. Processo mediatico rapido ed efficace, ritrattazione, rainbow wash con tanto di policy practice «gay friendly e contro l’omofobia» sul sito web e via, pronti per conquistare nuove fette di mercato.
Perché non ci si deve ingannare: si tratta di questo, di mercato, di vendite e percentuali e utili e investimenti. Basti pensare, oltre ai casi già citati, a IKEA, a Sorgenia vincitrice con la propria campagna del Diversity Media Award 2019, per dire soltanto i primi marchi che vengono in mente. Il “marchio” LGBTQ+ piace e fa vendere a quanto pare: chissà se perché intercetta una fetta di mercato reale, o perché appare tanto moderno, felice e privo di condizionamenti.
Nulla da ridire. Ci sta bene. Noi siamo assolutamente a favore del mercato. Motivo per cui, la prossima volta che farò la spesa, quando spingerò il mio carrello fra le corsie del supermercato, nel momento in cui la persona che sono vale qualcosa per la semplice ragione che sto spendendo denaro mio, allora potrò decidere di comprare una marca di caffè che non mi venda fumo in salsa arcobaleno.