Piangiamo oggi una delle vittime illustri del CoViD-19. La libertà di educazione, che concretamente ha il volto storico della scuola paritaria. Cioè di quel servizio pubblico non statale che svolge un ruolo essenziale (cioè non eliminabile) nell’economia di un Paese di famiglie qual è l’Italia.
Per una distorsione mai risolta, nonostante parole su parole, da decenni, cioè dall’inizio della repubblica italiana, la scuola pubblica non statale è stata sempre considerata di serie B, penalizzata e vilipesa. Per le famiglie è sempre stata un costo enorme. Curioso che un servizio pubblico si debba pagare due volte: le famiglie italiane che per i propri figli scelgono il servizio pubblico non statale pagano infatti la retta ‒ che è salata perché gli oneri della libertà lo Stato li carica tutti sui cittadini, discriminando a favore del servizio pubblico statale ‒ e pagano pure la propria quota per la scuola di Stato in forma di imposte. Mai la parola «imposta» ha avuto significato più rotondo e odioso che in questo caso.
Adesso che il CoViD-19 ha portato man forte decisiva alle politiche volte a penalizzare il risparmio delle famiglie italiane che l’ipertassazione di cittadini e imprese persegue con successo da anni, la paritaria diventa un miraggio: molti delle famiglie che fino a oggi se la sono pagata con sudore e sangue a prezzo di sacrifici enormi non potranno realisticamente più farlo. Già, perché uno, dopo che si è cavato di dosso la pelle, che altro può ancora fare? La balla mastodontica della scuola paritaria come “scuola dei ricchi” è infatti smentita dalla demografia delle classi.
Dunque, le paritarie, strumento eccelso di misura della libertà di questo Paese, rischiano di non riprendersi. A settembre le loro aule saranno svuotate più dall’incuria nei loro confronti voluta dallo Stato che dal coronavirus. E forse molti istituti nemmeno riapriranno.
Mentre si moltiplicano gli allarmi e gli appelli al governo, scende in campo anche la Conferenza Episcopale Italiana, che, in un comunicato stampa, sottolinea che «le paritarie svolgono un servizio pubblico, caratterizzato da un progetto educativo e da un programma formativo perseguiti con dedizione e professionalità». Sottolineando più che efficacemente che «le scuole paritarie permettono al bilancio dello Stato un risparmio annuale di circa 7.000 euro ad alunno», e che «indebolirle significherebbe dover affrontare come collettività un aggravio di diversi miliardi di euro», la CEI chiede al governo «[…] con forza che non si continuino a fare sperequazioni di trattamento, riconoscendo il valore costituito dalla rete delle paritarie». Perché in questo ambito sperequazioni e discriminazioni le famiglie ne subiscono troppe da decenni.
La CEI si appella, ma pure ci mette del proprio: «[…] stiamo verificando la possibilità di contribuire a sostenere alcune migliaia di studenti della scuola paritaria secondaria di I e II grado: un aiuto straordinario alle famiglie più in difficoltà, da imputarsi al bilancio CEI del 2020. Si tratterebbe di circa 20mila borse di studio, che agevolino l’iscrizione al prossimo anno scolastico, a tutela – per quanto possibile – di un patrimonio educativo e culturale unico». Quando lo Stato, di cui noi cittadini e famiglie siamo gli azionisti, farà la propria parte?