Sì, certamente: il calo demografico comporta danni gravi, molto gravi al lavoro, alle pensioni, alla Sanità e al risparmio. Ma dirlo e ripeterlo, ammesso che qualcuno lo dica e lo ripeta con coscienza e con convinzione, serve?
Ovviamente no, e non perché l’economia sia cosa spregevole, anzi. Ma perché, nonostante un detto popolare, non sono affatto i soldi quelli che fanno girare il mondo. Le visioni economiche, infatti, derivano dalle impostazioni culturali, persino ideali, dunque anche ideologiche. La storia lo dimostra perfettamente, e del resto non ci vuole un dotto per capire che l’uomo, sempre, organizza la propria vita in base a ciò che pensa. È per questo, tra l’altro, che, se pure esiste una distinzione importante fra princìpi non negoziabili e politiche concrete, fra essi non esiste mai una separazione netta. Il collettivismo è solo la messa in pratica economica della filosofia socialista tanto quanto lo è, in antitesi apparente, il liberalismo.
Oggi l’Italia annaspa al fondo di un vero e proprio inferno prima che inverno demografico. Tra un po’ non nasceremo più. Secondo l’ISTAT, nel 2021 il nostro Paese scenderà sotto la soglia delle 400mila nascite, record abissale. Ora, se i governi che guideranno l’Italia nel futuro, mentre ancora l’Italia è senza governo oggi, vareranno politiche del lavoro più duttili e intelligenti, se riformeranno le pensioni secondo modalità non bancarottiere, se ritoccheranno la Sanità in maniera meno punitiva e se smetteranno di ficcare impunemente le mani nelle nostre tasche come fossimo bancomat, gli italiani vivranno vite più normali, sarà per loro un tantino più semplice mettere su famiglia, ma basterà questo a far sbocciare la primavera demografica? Ovviamente no.
La politica dei «figli alla patria», insomma, non convince, e non convince perché non scalda. Se un ipotetico governo salutare fosse in grado di risolvere al meglio parti cospicue delle endemiche crisi italiane del lavoro, delle pensioni, della Sanità e del risparmio, non succederà affatto che gli italiani si metteranno ipso facto a fare più figli. Succederà soltanto anche da noi quel che gli osservatori acuti ci raccontano succedere nella nuova classe agiata, persino benestante dei giovani cinesi. Avranno più denaro nelle tasche e più tempo per consumarlo in distrazioni e divertimenti, impipandosene della società, della demografia e di tutto il resto.
Narrano le Cronache dei Tre Regni che la bella e misteriosa Himiko visse tra il 170 circa e il 248, regnando sul più forte dei cento reami di Wa, che noi oggi chiamiamo Giappone. Le facevano veglia cento uomini, la servivano mille ancelle e un portavoce maschio era l’unico suo tramite con il mondo esterno. Non si sposò mai, non ebbe figli e la cosa fu così strana che venne ritenuta una strega. A parte gli ultimi secondi sulle 24 ore dell’orologio della storia umana, a ogni latitudine, una donna è sempre stata considerata moglie e madre, oppure vergine dedita alla divinità (eventualmente anche malvagia). Questo perché ogni società umana ha sempre lanciato se stessa verso il futuro. Epperò per aspirare al futuro è necessario sperare, e la speranza è esattamente quel che manca oggi al nostro mondo decadente.
Ci vuole coraggio e abnegazione, dedizione e umiltà per scegliere la fatica della speranza, che è una lotta quotidiana e una scommessa di vita. Finché non tornerà la speranza, nessuna politica del lavoro, delle pensioni, della Sanità e del risparmio potrà sanare la voragine demografica in cui tutto il mondo arrivato e pago di sé langue.
Ma questo né è cosa di un minuto, né è cosa da economisti. Servono solo missionari della speranza, l’unica che possa riaccendere la scintilla dell’eroismo nel cuore dei giovani. Sembra una fiaba, sembra mero romanticismo, sembra una filippica imbellettata con un po’ di mestiere per cavarsi d’impaccio, ma non lo è affatto. Chi ha un’altra soluzione, si faccia avanti: sono certo di vincere la scommessa. Da che mondo è mondo, però, si diventa eroi sempre e solo in un modo: seguendo l’esempio senza di chi lo dà senza pretendere di darlo. Ci vorranno decenni, forse secoli per ricostruire la nostra civiltà caratterizzata dal pensiero molle di sé, ma senza testimoni non avrà fine l’inferno demografico evocato dalla magia nera di Himiko.