Last updated on marzo 14th, 2020 at 07:09 am
48%. È la percentuale degli anglicani che, secondo un sondaggio di YouGov, l’azienda britannica di ricerche di mercato e analisi di dati, sarebbe favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso. In prima lettura il dato sorprende, ma, in realtà, si spiega bene se inserito nella profonda spaccatura apertasi nella Comunione anglicana ormai più di sette anni fa.
Nel 2013 infatti, mentre il governo legiferava sulle unioni omosessuali, approvandole, nella Chiesa d’Inghilterra esplodeva il dibattito. I quattro vescovi anglicani componenti il Gruppo di lavoro sulla sessualità umana della Casa dei vescovi (che è uno dei tre organismi di cui si compone il sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra), Gruppo di lavoro guidato da sir Joseph Piling, iniziavano a prendere in considerazione la questione dei fedeli omosessuali. Ne uscì un rapporto ambiguo nel quale, da un lato si insiste sulla necessità che la Chiesa anglicana si “penta” per i modi nei quali avrebbe trattato le persone omosessuali, ma dall’altro si ribadisce l’immutabilità dell’insegnamento e della liturgia.
Nella relazione si legge: «L’insegnamento della Chiesa sulla sessualità si scontra con i comportamenti della società contemporanea, non solo per quanto riguarda gli omosessuali maschi e le lesbiche, ma anche per quanto concerne i cristiani». Era l’inizio di quella che l’arcivescovo di Canterbury, la massima autorità spirituale della Chiesa d’Inghilterra, Justin Welby, definì «una rivoluzione». Nel 2014 il governo guidato da David Cameron rese poi legge le unioni fra persone dello stesso sesso, e il dibattito si riaccese con violenza, con alcuni pastori anglicani che chiedevano di benedire in chiesa queste nuove unioni. E non solo lo chiedevano: molti iniziano infatti a benedirle già prima della decisione.
Il «coming out»
Nel 2016 una notizia finì però sui giornali di tutto il mondo: il pastore Nicholas Chamberlain venne creato vescovo di Grantham. Cosa sorprende? Che Chamberlain sia dichiaratamente omosessuale. E che convivesse stabilmente con un compagno, da anni. È Chamberlain stesso a confermarlo: «Non è stata una mia decisione quella di fare pubblicamente coming out: le persone sanno benissimo che sono gay, ma non è di certo questa la prima cosa che dico alla gente. La sessualità è una parte di me, ma preferisco di gran lunga concentrarmi sui miei doveri e sul mio ministero».
Certo, non tutte le notizie possono arrivare fino all’arcivescovo di Canterbury, ma è stato l’arcivescovo stesso a fugare ogni dubbio: «Sono sempre stato a conoscenza del fatto che Chamberlain fosse gay e che intrattenesse da tempo una relazione stabile con un uomo. Le ragioni della sua nomina a vescovo sono basate esclusivamente sui suoi meriti e sulle sue capacità, dimostrati ampiamente da parroco nella diocesi di Lincoln. Lui vive secondo i canoni previsti per il clero e la sua sessualità è completamente irrilevante per noi e per il compito che lo abbiamo chiamato a svolgere».
Nel Paese è già possibile sposarsi fra persone dello stesso sesso. Se promuove a vescovo una persona che intrattiene apertamente una relazione omosessuale perché mai la Chiesa anglicana non dovrebbe anche benedire le unioni omosessuali nelle proprie chiese?
Nel giro di poche settimane partì dunque una corsa al coming out: nel settembre 2016 erano già 14 i pastori anglicani che pubblicamente avevano presentato i propri partner alle proprie comunità. Fu un uragano, tanto da spingere l’arcivescovo Welby a vietare i coming out. I giornali accorsero e proprio ai giornali il reverendo Colin Coward, fondatore di un gruppo di pressione creato per cambiare le norme della Chiesa anglicana, Changing Attitude, spiegava, senza nascondere l’entusiasmo: «Sono almeno undici gli arcivescovi omosessuali, molti dei quali vivono una relazione. Voglio incoraggiare i vescovi omosessuali a venire allo scoperto».
Pezze e buchi
L’intervista generò una reazione forte da parte della Chiesa anglicana, che, in una nota affermava: «È sorprendente che gruppi che dicono di sostenere le persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender e intersessuali cristiane indulgano in queste tattiche irresponsabili. Questo tipo di dichiarazioni potrebbero infatti incoraggiare qualcuno a cercare di identificare quei vescovi». La pezza era però peggio del buco, e l’insieme delle dichiarazioni e dei gesti della Chiesa gettava nella confusione i 25 milioni di fedeli della Chiesa d’Inghilterra.
Alla fin della fiera succede che il clero apertamente omosessuale e praticante viene accettato, ma solo se non si sposa con rito civile. Intanto, nella confusione, si colse l’occasione per un nuovo colpo d’acceleratore in avanti: nel 2017 il sinodo anglicano si trovò spiazzato dalla votazione di un documento nel quale si disponeva esplicitamente che il matrimonio in chiesa può essere solo quello tra un uomo e una donna. Il documento viene rigettato, bocciato dalla Camera del clero (un altro dei tre organismi di cui si compone il sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra) con 93 «sì» e 100 «no». Come disse Peter Tatchell, attivista per i diritti umani da anni impegnato affinché la Chiesa si apra alle unioni tra persone dello stesso sesso, «questo voto segna una vittoria per l’amore e per l’uguaglianza». Ebbene, in luglio circa mille vescovi anglicani si incontreranno nell’Università del Kent a Canterbury per due settimane di preghiera e convegni all’interno del nuovo sinodo, che si presenta già dominato dai temi LGBT+. In vista dell’evento è già stato deciso che gli attivisti LGBT+ guideranno il servizio ecclesiale con due donne “pastore” dichiaratamente lesbiche. Un gesto di rottura, una provocazione che ha già provocato la rinuncia di alcuni vescovi a partecipare al sinodo. Mentre la spaccatura interna alla Chiesa anglicana si amplia, c’è però anche chi festeggia. E basta una piccola ricerca su Internet per averne conferma: su Wikipedia, alla voce Ordinazione sacerdotale LGBT nel cristianesimo, l’anglicanesimo ha la voce più ricca.