Last updated on aprile 14th, 2021 at 10:37 am
Ispirate dall’opera Nuestra Señora de la leche y el buen parto, negli anni 1950 alcune donne si resero conto che le donne stesse erano divenute incapaci di comprendere quanto possa fare una madre per il proprio figlio con il semplice atto di portarselo al petto. Secondo il racconto della fondazione La Leche League, fu questa percezione d’insicurezza nei confronti della femminilità che turbò le prime donne che si riunirono per dar vita ai gruppi di sostegno all’allattamento più famosi del mondo.
Iniziare con questo aneddoto è utile per introdurre un altro argomento collegato strettamente al senso di assoluta inadeguatezza che è stato cautamente, capillarmente e minuziosamente instillato nelle donne, per esempio nel campo della fisiologia del ciclo uterino.
Gli anticoncezionali, un approccio “maschilista” alla sessualità
Gli anticoncezionali, che una cospicua parte del mondo femminile ha riconosciuto essere parte di un modo “mascolino” di affrontare la vita (quello che identifica un problema e prontamente lo risolve), sono parte attiva di quella «tecnomedicina» che sfrutta la farmacologia per modificare la fisiologia femminile. Laddove gli anticoncezionali sono diffusi perché le donne e gli uomini siano liberi sessualmente, le donne hanno compreso perfettamente che si tratta di un’invenzione mascolina per liberare essenzialmente l’uomo dalle responsabilità, come se la tecnomedicina non solo sia gestita con uno sguardo maschile, ma pure maschilista.
La scienza ha messo astutamente da parte le scoperte che sono state fatte contemporaneamente all’invenzione della pillola anticoncezionale e di questo le donne, adesso, sono certe.
«Al di fuori dei preservativi, le alternative efficaci a questi interventi medici sono generalmente considerate inesistenti e raramente sono rese accessibili. […]. Alla fine, ho scoperto che nessuna pillola, dispositivo intrauterino o pezzo di gomma “progettato per il [mio] piacere” da solo poteva fornire la liberazione sessuale che sperimento praticando [..] [il] metodo di consapevolezza del controllo delle nascite, o FAM [fertility awareness methods, metodi naturali per la consapevolezza sulla fertilità]». Chi scrive è una giornalista statunitense, Megan Magray, atea e di sinistra, che denuncia come per anni le donne si siano fatte sottrarre la conoscenza del proprio corpo incaricando la tecnomedicina della gestione dell’aspetto più personale e femminile che ogni donna possieda: la fertilità.
L’equivoco della «salvezza tecnomedicale»
«I contraccettivi medici sono stati a lungo considerati emblemi di libertà sessuale e autonomia corporea. […]. Non possiamo assolvere la sinistra della responsabilità: sotto le sembianze del progressismo, molti di sinistra abbracciano una fede patriarcale nella tecnocrazia e nella competenza che respinge l’esperienza aneddotica delle donne come illegittima, a meno che tale esperienza non venga catturata in uno studio scientifico con parametri specifici», continua la giornalista. Parimenti a quello che è accaduto per la gravidanza, una volta gestita dalle levatrici, la fertilità è stata ceduta all’uomo da donne complici.
Il mondo del femminile pende del resto ancora dalle labbra della «salvezza tecnomedicale», battendosi affinché le altre donne rimangano nell’ignoranza di quello che il corpo possa loro insegnare. Inculcare il senso d’inadeguatezza nelle donne permette di compiere veri e propri miracoli.
Le donne divengono gestibili e comandabili come eserciti di zombie e per esempio il neonatologo Jean-Pierre Relier (pure ateo) lamenta una menzogna, da parte della medicina, nell’incoraggiare tecniche di fecondazione extracorporea, gonfiando il numero dei successi e denunciando il fatto che questa tecnomedicina non aiuti la natura, ma la forzi, tentando di piegarla alla volontà “onnipotente dell’uomo” (inteso in questo caso come essere umano).
Laddove le donne riconoscono le “cordicelle” del controllo del corpo femminile anche da parte di altre donne che hanno ceduto allo strapotere della medicalizzazione, però, la verità si sta muovendo verso una progressiva consapevolezza. La bellezza della conoscenza di quello che avviene nel corpo, nella mente, nell’anima femminile non deve essere costretto allo sfruttamento da parte di nessuna tecnica e di nessuna ideologia.
Il dono dell’allattamento
Torniamo, quindi, all’allattamento: educare alla bellezza della femminilità, mostrando la complessità del ruolo femminile, non significa minimamente liberare le donne dalla maternità, spirituale, biologica o adottiva che sia, bensì mostrare la bellezza della loro unicità determinata dalla loro fisiologia.
Si guardi ciò che è accaduto, appunto, con l’allattamento materno: nei decenni fra il 1950 e il 1970 il mondo decise che la donna aveva di meglio da fare che starsene a petto nudo a farsi schiavizzare da un neonato viziato. La donna doveva e deve tutt’oggi tornare in “assetto pre-gravidico” nel più breve tempo possibile, abbandonando il bambino. La formula lattea, inventata da un uomo, l’imprenditore tedesco naturalizzato svizzero che fondò un’azienda poi famosissima, Henri Nestlé (1814-1890), è stata acclamata come liberatrice dal giogo della maternità, come del resto il taglio cesareo, la pillola e infine l’aborto. «Se proprio la donna voleva [vuole?] allattare, che lo faccia a orari imponendo al figlioletto di soffrire e urlare spaventato».
Autrici del calibro della psicoanalista svizzera Alice Miller (1923-2010) hanno definito questo modo di allevare i bambini «pedagogia nera» e la liberazione sono state le donne che hanno consolato, istruito e aiutato le altre donne ad allattare per il loro bene (allattare diminuisce la percentuale di depressione post parto) e per il bene del bambino», scrivono le giornaliste femministe Alessandra Di Pietro e Paola Tavella in Madri selvagge, riferendosi alle fondatrici de La Leche League.
Il bene non è mai contraddittorio e la cura della femminilità sta proprio nel preservare la bellezza della differenza tra femminile e maschile. Bellezza della quale un’ostetrica che ha fatto della consapevolezza della fertilità la propria bandiera è assolutamente certa: Flora Gualdani, ostetrica per più di 50 anni, lo sa, perché le donne le conosce.
Vivere quella bellezza femminile, accogliendone tutte le sfaccettature, e ritornare al vero sostegno verso la donna, la libererebbe dal giogo della “tecnomedicina” e dalla patologizzazione della vita femminile.
Per approfondire:
Jo Croissant, Il mistero di donna, Berica Editrice, 2018
Thérèse Hargot, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno, 2017
Alice Miller, La persecuzione del bambino. Le radici della violenza, Bollati Boringhieri, 2008