La notizia l’hanno letta tutti. O quantomeno è quello che mi auguro. Nell’ospedale Cannizzaro di Catania è nata una bimba di nome Alessandra la cui mamma è la donna che ha ricevuto il primo trapianto di utero realizzato in Italia. Non è una notizia bella. È una notizia splendida.
È la scienza, intesa come ricerca, che trova vie possibili e che convoca la tecnica per realizzarle. Ma non è solo questo. È infatti lo scopo del gesto quello che spoglia di intellettualismo il fatto e nobilita l’impresa: fare il bene. Fare del bene. Fare bene all’uomo, alla persona che ha necessità, a chi ha bisogno di cura; qualcuno, cioè, che si faccia carico, in funzione sussidiaria, perché da sé la persona che chiede non può.
Non capita tutti giorni. Anzi, forse capita pure tutti i giorni, ma noi non lo sappiamo. Il bene non fa notizia. Riesce a uscire sgomitando dall’oscurità soltanto quando coincide con altro: con l’originalità, il primato, persino la stramberia. Il bene allora, veicolato dal voyeurismo ubiquo, riesce a emergere. Fa nulla. L’importante è che emerga.
No, non è vero: l’importante è che venga fatto, il bene. Se ne veniamo pure a conoscenza meglio, perché così lo possiamo allora raccontare, ci possiamo riflettere sopra, lo possiamo usare come strumento di apologetica del buon senso, del desiderio di bellezza che anima tutti (per via contraddittorie e misteriose anche il profeta più tetragono dello squallore consapevole), di ragionevolezza. Per esempio, è utile a richiamare l’attenzione del nostro vicino di casa, immerso nei propri mille guai tutti legittimi (le bollette che rincarano, la spesa che aumenta, l’ombrellone che non si trova, le lezioni che arrivano e chissenefrega), e fargli alzare lo sguardo. «Hai visto cos’hanno fatto a Catania?…».
Il punto è questo. Le donne sono fatte per dare la vita; le donne non sono solo delle fattrici (chi lo pensa è un bue), ma nessun uomo può fare quello che la donna fa per la vita con il concorso dell’uomo. Una donna accoglie sin dal principio l’unione di sé e di un uomo in una nuova creatura, dando alla nuova creatura dimora, nutrimento, protezione e cura. La ospita per lungo tempo, quel lungo tempo che serve alla creatura per forgiarsi nuova persona e nuovo guerriero (maschio e femmina che sia) pronto alla vita che è una milizia. Questo è il dono che ella fa alla creatura, tale per cui l’unione che ha generato quella creatura si chiama «dono della madre», matrimonium. Di questo la nuova creatura è strutturalmente, intrinsecamente, intimamente riconoscente verso la mamma sin dal principio, tale per cui con la mamma la creatura scambia cellule che sono strategiche e indispensabili persino per la salute fisica della mamma, aiutandola in cose come l’immunità e la possibilità di subire trapianti. Le entra nel corpo, persino nel cervello, per non staccarsi più. Un modo con cui la creatura dice «grazie» perenne alla mamma. Un articolo medico qualche tempo fa si domandava, retoricamente, «per quanto tempo una mamma porta in grembo il proprio figlio?», la risposta essendo «per sempre». La mamma l’ha sempre con sé il figlio, dentro di sé, parte di sé. Addirittura le “serve”. Il cordone ombelicale non si taglia fortunatamente mai del tutto.
Poi c’è il male, quello che attacca la natura fisica e morale della persona umana in molti modi e con molte facce, tutte brutte. Il male è privazione di bene. È il non-esserci di un proprium della persona. Sul piano fisico è la mancanza di qualcosa che nel corpo umano dovrebbe invece esserci. Per questo diciamo che una persona «sta male», è «ammalata» se le manca qualcosa nel corpo oppure quando un morbo aggredisce qualche parte di esso.
La mamma della piccola Alessandra nata a Catania aveva il corpo malato. Era nata senza utero. Non poteva avere figli. Non poteva dare la vita, ciò per cui le donne sono fatte anche se le donne non sono solo fattrici. Di questa persona malata si è presa allora cura una scienza di scienziati buoni sul piano medico è il risultato della tecnica che a quella convocazione ha risposto bene sul piano meccanico è sublime. Un trapianto di utero. Ora Alessandra e la sua mamma a Catania vivranno sempre una dentro l’altra, la mamma porterà sempre dentro di sé Alessandra, avendo il bene sconfitto il male, Alessandra ha scambiato le proprie cellule con quelle della mamma dicendole il proprio «grazie» che le rinforza addirittura la salute. Quando la banalità del voyeurismo richiama la nostra attenzione sul senso della vita.