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“La fantascienza ha un genere cognato, la fantastoria. Con indosso i panni della distopia sono conturbanti”, disse fra sé quell’inventore di Richmond, nel Surrey inglese.
Ora, mentre Giuseppe Garibaldi si apprestava alla fatidica spedizione dei Mille, il Grand Tour precipitò l’inventore inglese nell’Italia squassata fra la Scilla di un passato che non voleva passare e la Cariddi del pallido, spettrale Sol dell’avvenire. Aveva, quell’inglese formidabile, messo a punto la vera rivoluzione, altro che le camicie rosse: nientemeno che la macchina del tempo. La testò, quella “macchina del Duemila”, con un modellino cui aveva acconciato a mo’ di pilota, dopo avere tirato uno, due sospiri di rammarico, uno dei propri ottimi sigari confezionati nelle Antille. Segnò la data sul calendario della macchina, spinse in avanti la leva di destra e, con uno sfarfallio dorato, la macchina sparì come d’incanto. Funzionava! Funzionava davvero!
Aveva, quell’inventore, affittato un abbaino in un vicolo del centro di Roma l’immortale. Amava passeggiare la sera esponendosi al ponentino di quei primi di luglio. Quella sera spense il mozzicone dell’inseparabile sigaro sull’uscio di casa, fece scivolare sui cardini la pesante porta dell’ingresso dopo avere girato le quattro mandate della serratura abbrunita e, meditabondo ma in cuore felice, salì i sei, lunghi piani dell’edificio.
Si mise subito a sedere nella propria macchina dei portenti. Indugiò qualche secondo. Alzò lentamente, quasi scandendo i secondi, il volto e incrociò il proprio sguardo nello specchio affisso alla parete. Stentò a riconoscersi, oppure fu solo un effetto ottico. Tirò un sospiro più forte che mai e, con gesto solenne, spinse in avanti la leva. Stava facendo la storia. Anzi, la stava andando a visitare.
Stesso luogo, Roma, ma più di 150 anni dopo: 6 luglio 2021. L’edificio era cambiato, ma forse nemmeno tantissimo. Sentì garrire i gabbiani e una strana voce gracidare attraverso la parete. Imparò presto cosa fosse quel grande quadro metallico appeso al muro, chiamato televisore, né ne ebbe paura: del resto era uno che aveva nientepopodimeno che scovato il modo per viaggiare nel tempo.
Il notiziario delle 20 annunciò che quel giorno la riunione dei capigruppo della maggioranza che sosteneva il governo di tale Dario Braghi, riunita per il «ddl Pan», non aveva prodotto alcun accordo e che così il Senato aveva confermato la calendarizzazione della proposta di legge alla settimana dopo, il 13 luglio. Per la precisione alle 16,30, mezz’ora appena prima della fatidica ora del suo tè da gentleman.
Incuriosito, l’inventore inglese a Roma cercò di documentarsi. Scoprì Internet e familiarizzò. «On. Bernardo Pan, del Partito della democrazia, Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». Non gli ci volle molto per capire. Fu allora che lo punse vaghezza di un nuovo salto nel futuro. Più breve, stavolta, proprio a quel 13 luglio.
Detto fatto. Lo sfarfallio dorato lo catapultò nella settimana successiva. Aveva ritardato apposta il timer. E così, mentre sorbiva il suo tè inglese, udì la radio gracchiare i risultati. La proposta dell’on. Pan era stata bocciata. Nessuno se lo aspettava, ma, spaiando le carte, il giovane leader di Italia Diva aveva spostato su di sé le luci della ribalta. Per mesi e mesi si era mosso sul filo del rasoio, cerchiobottista, ma alla fine aveva deciso per il colpo di teatro. Roma valeva bene la ressa, e pure la rissa.
L’Italia era in quel momento spaccata. Da un lato i partigiani dell’on. Pan, compatti, forti, numerosi, vocianti; dall’altro quelli che invocavano la libertà calpestata da quella irricevibile proposta di legge, un esercito eterogeneo, forte pure esso, numeroso sì, ma fatto di personaggi i più diversi, cattolici, liberali, conservatori, radicali, femministe con le gonne anche quelle che portavano i calzoni e omosessuali non intruppati.
I giochi però sembravano fatti e, alla vigilia, i numeri parevano arridere all’on. Pan. Il giovane Mattia Pieri, invece, il leader di Italia Diva, aveva deciso di rubare lo show a tutti e soprattutto di incollarsi alla pelle i voti di quel numero enorme di “io non sono pieriano, però…” che in un battibaleno si erano dimenticati tutto, di come Pieri li avesse già buggerati, di come Pieri li avesse gabbati, delle giravolte di Pieri, e della sua sicumera arrogante, e della sua smania di sedersi uomo solo al comando, e di come avesse calpestato spesso, sorridendo nel suo giubbotto da serial vintage, le loro istanze.
E fu così che l’inventore inglese a Roma annotò sul proprio diario la data, l’ora e il luogo, segnando a margine qualche appunto.
Ma si fermò. Portò d’istinto lo stilo alla bocca, passendoselo nervosamente fra i denti. Chiuse di scatto il taccuino e si accese l’ennesimo sigaro. Stette a rimuginare avvolto nelle nubi di fumo a lungo e poi si risolvette. Seduto alla sua macchina fantastica del tempo, spinse ancora una volta la leva in avanti. Nell’Italia di due anni dopo l’on. Pieri governava indisturbato. La sua opposizione decisiva alla vecchia proposta dell’on. Pan gli aveva sospinto il vento in poppa. Al termine di un vertice internazionale, la televisione chiese due battute al primo ministro Pieri. Gli domandarono cosa pensasse della proposta di legalizzare l’eutanasia alle battute finali in quei giorni in Senato. Fu allora che l’inventore di Richmond nel Surrey si svegliò madido di sudore. Si guardò attorno. Era notte fonda e il suo letto era disfatto come da chi avesse trascorso sonni agitati. Guardò la scrivania. Il suo taccuino e il suo stilo erano là. Quante volte aveva sognato la macchina del tempo, quante volte l’avrebbe sognata ancora. Si disperava a quel pensiero. Ma non quella notte. Quella notte in fondo era contento di non essere mai riuscito a costruire quell’aggeggio, era contento di non sapere nulla del futuro, di Mattia Pieri e dell’Italia. Anzi, in Italia non c’era mai stato. Sperava però davvero di visitarla quella terra bella ed enigmatica, che tutte le spiegazioni che si procurava non riuscivano mai a fargli capire. Si accese un sigaro.