L’aborto è il più grave degli scempi

Un sacerdote viene “incriminato” per avere detto l’evidenza. Dura, ostica, ma sacrosanta

don Andrea Leonesi

Last updated on Dicembre 9th, 2020 at 04:48 am

«L’aborto è il più grave degli scempi»: certamente, tanto quanto lo è l’omicidio di qualunque essere umano, con l’aggravante che a essere uccisa è una persona innocente nel senso più assoluto del termine.

Questa frase, pronunciata nell’omelia della Messa celebrata il 27 ottobre scorso da don Andrea Leonesi, vicario del vescovo di Macerata, ha scatenato una bufera mediatica, aizzata da Sinistra Italiana Macerata, che ha fatto pervenire le proprie esternazioni a Cronache Maceratesi il 2 novembre.

Si tratta di una tempesta chiaramente manovrata da una Sinistra che non si rassegna alla débâcle subita nelle elezioni amministrative di settembre, dopo un governo cittadino durato un quarto di secolo, e che quindi pensa bene di mettere bocca sugli insegnamenti della Chiesa Cattolica: una Chiesa che è da sempre contraria tanto all’aborto, quanto a qualunque altro abominio, come la pedofilia.

L’intervento chiarificatore del vescovo, mons. Nazzareno Marconi, a sostegno di Don Leonesi, fa immediatamente da contrappunto chiaro e ineccepibile, soprattutto riguardo la posizione della Chiesa e il modo in cui debbano essere intese le parole sia del celebrante nel contesto dell’omelia, sia di san Paolo nella lettera agli Efesini, anch’esse bersaglio di polemiche: «Io sono contro l’aborto, che non ritengo né un diritto né una conquista di civiltà, ma un fallimento sociale quando porta a considerare una vita umana come “un problema”. Ogni vita umana è invece una ricchezza per tutti» e poi «le mogli sottomesse ai mariti come la Chiesa lo è a Cristo ed i mariti alle mogli, come Cristo che si è sottomesso alle esigenze di un amore infinito per la Chiesa».

Eppure il paragone “osato” da don Andrea sulla gravità di aborto e pedofilia ha costituito il pretesto per urlare allo scandalo e denigrare il celebrante, ma con la reale intenzione di sferzare l’attacco a una verità sacrosanta.

La tecnica è sempre la stessa: il travisamento delle parole in modo da buttare nella macina mediatica un significato mai inteso dal sacerdote benché il suo intento sia stato volutamente provocatorio.

Non mira infatti a stabilire quale dei due abomini sia più grave, bensì a risvegliare la coscienza sopita di tanti (anche cristiani) che giustamente si battono per il secondo, ma che si dimenticano del primo o persino lo giustificano.

Si tratta infatti di una verità che non ammette contraffazioni: l’aborto è un omicidio, senza «se» e senza «ma», perché interrompe, per motivi per lo più inaccettabili, la vita di un essere umano.

Ci si trova ora dunque a difendere non solo la libertà di predicazione di quel sacerdote, ma pure l’evidenza, che, come tale, non avrebbe bisogno di alcuna dimostrazione. Le strumentazioni moderne permettono del resto di constatarla direttamente: nel grembo materno vive una “persona”, si muove, succhia il dito, dorme.

Non esiste, quindi, e non può in alcun modo essere chiamato tale, un «diritto della donna sul proprio corpo», laddove questo preveda la soppressione di un essere umano.

Ebbene, ciò che le parole di don Leonesi hanno puntualizzato, tanto da gettare allarme e scompiglio, è che l’aborto è un omicidio nella forma più grave: quella dell’infanticidio, compiuto peraltro nel modo più atroce.

Le strumentazioni che mostrano questa evidenza documentano infatti quanto accade durante un aborto: il bambino viene spezzettato o bruciato o risucchiato, a seconda del metodo di morte adoperato, tra dolori atroci, visto che è senziente.  Un gesto così è inconcepibile solo a pensarlo, eppure è un dato di fatto che i negazionisti fanno finta di non sapere, o non vogliono sapere, turandosi occhi e orecchie.

Per tacitare le coscienze si inventa poi la storiella del «grumo di cellule» che, ricordo, era una metafora usata negli ambienti accademici dei sociologi statunitensi antisemiti del primo Novecento in riferimento agli ebrei, chiamati «grumi insolubili» («insoluble clots»). Del resto la logica soggiacente è la medesima: un bimbo malformato è un essere umano “venuto male”, quindi l’aborto diventa la giustificazione oscena di una pratica eugenetica. Insomma, don Leonesi non ha detto nulla di assurdo: la differenza tra l’aborto e la pedofilia è quella che corre tra violazione e soppressione. Linguaggio duro, addirittura ostico, ma veritiero. A volte gli scandali hanno valore pedagogico.

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