Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:05 am
Il titolo ‒ in sé laconico a esprimere la felicità della propria rotondità a cui non serve glossa ‒ di un gran film diretto nel 1959 da Stefano Vanzina, in arte Steno (1917-1988), e interpretato dal grande (un luogo comune sì, e meritatissimo) Antonio de Curtis, in arte Totò (1898-1967), I tartassati, riesce in una di quelle maestrie del linguaggio che, quando vengono, uno che ama la scrittura vive gongolando di rendita per il resto della vita. Il calembour perfetto fra onomatopea e significato dentro il significato, in un rimpiattino virtuoso intraducibile e inarrivabile. Il “tartassato” diventa così la persona vessata e in specie proprio dalle tasse. Ora, quale cavaliere più azzeccato per la famiglia italiana al consesso dei Paesi civili dell’OSCE, segno di un grande record tutto farina del proprio sacco?
Un’occhiata alle statistiche, evidenzia come in Paesi dove più spesso che no si praticano politiche ben lontane dal concetto di famiglia che “IFamNews” difende e promuove siano fiscalmente penalizzati i single rispetto alle famiglie. Nell’Italia fu-cattolica accade invece il contrario: nessun riconoscimento del bene primario costituito dalla famiglia e al posto di questo vessazione dopo vessazione, quasi con gusto, o sadismo, e sempre con acribia.
Ora, uno Stato così è uno Stato fallito, morto, kaputt. Incapace di pensarsi, di immaginare se stesso, di ipotizzare un futuro. Un Paese renitente e perso nei fumi della propria ebbrezza, incapace e inattendibile, inaffidabile ed esausto come un olio oramai inservibile, inerte come un gas infecondo, spompato come un corridore fallito. Vogliamo che la nostra Italia continui a essere così? No di certo: ma allora perché ogni qualvolta ci viene annunciato quanto la famiglia sia tartassata, al massimo dedichiamo alla cosa venticinque centesimi di secondo e poi ci rituffiamo nel nostro nulla? Il nostro nulla verrà presto, però senza l’istituto familiare alla base e come anima della società, quando lo capiremo?
In questi giorni la battaglia per la difesa della famiglia vive del grande agone sul tema della libertà di educazione, e ben venga. E infatti l’oca del Campidoglio grida a tutti quanto la famiglia sia massacrata: niente sovranità, niente centralità, niente sgravi e anzi prezzi doppi, diritti conculcati, libertà decurtate.
Questa della libertà della famiglia e della libertà di educazione è una battaglia però che dovrebbero combatterla tutti, anche chi manda figli e nipoti alla scuola di Stato o chi di figli non ne ha e tanto meno una famiglia. Una battaglia così infatti è la grande battaglia di civiltà del momento, e chi si ritira anzitempo è un disertore.
Ma la battaglia va combattuta bene, perché di vittorie di Pirro è stracolma la storia.
La battaglia per la libertà di educazione e per la famiglia non deve essere quella combattuta per godere delle briciole che cadono dal piatto. Dev’essere una battaglia seria e totale portata avanti con schiena diritta. Nessun regalo, in denaro e altro da parte dello Stato, dunque, ma la richiesta perentoria e lucida e costante affinché sia la famiglia a disporre sempre liberamente delle sostanze del proprio lavoro, del proprio risparmio e della propria eredità come meglio crede. Questo e non altro va chiesto al governo: di farsi da parte, rendendo la famiglia una no-flight zone. E finché la famiglia resterà tartassata in Europa come nessun altro mai, questo sarà solo un miraggio.