Last updated on marzo 5th, 2020 at 03:57 am
Fino allo scorso anno l’India veniva definita, a buona ragione, la «mecca della maternità surrogata»: per via della grande quantità di donne in condizione di povertà, e vista la mancanza di regolamentazione ma la presenza di strutture mediche adeguate, veniva considerata l’hub del turismo riproduttivo. Una stima delle Nazioni Unite, effettuata nel 2012, valutava la presenza di un giro di affari di oltre 400 milioni di dollari statunitensi all’anno, con più di 25mila bambini “generati su commissione”. Nel 2013 un documentario della BBC ha mostrato la realtà quotidiana di una House of surrogates con i “servizi” offerti alle gestanti: cibo e vitamine, visite di marito e figli nei weekend, durante il “soggiorno” in strutture ospitanti fino a 100 donne contemporaneamente, dieci per ogni stanza. Nessun diritto e nessun dovere nei confronti dei nascituri: il nome della madre surrogata non appare sui documenti, gli unici genitori riconosciuti sono gli “acquirenti”. Il compenso per la fatica delle gestanti si aggirava attorno agli 8mila dollari, 10mila in caso di gemelli, a fronte di 28mila dollari sborsati dalle coppie. Cifra ben più bassa dei 100-120mila dollari spesi in media per lo stesso “servizio” negli Stati Uniti d’America.
Giro di vite del governo indiano
Tutto ciò, però, riguarda il passato: nel 2015 la Corte Suprema indiana ha vietato la gestazione per altri in favore di coppie straniere e lo scorso agosto la Camera bassa del parlamento ha approvato un provvedimento che vieta, in tutto il Paese, la maternità surrogata, con l’unica eccezione nel caso di scelta “altruistica” tra persone della stessa famiglia, e comunque solo per le coppie sposate da almeno 5 anni che non abbiano figli viventi e presentino problemi comprovati di infertilità. Provvedimenti analoghi sono stati approvati anche in Messico, in Thailandia e in Nepal riconoscendo le enormi violazioni dei diritti umani insite nella pratica dell’utero in affitto. Con questa decisione Nuova Delhi ha dunque messo fuorilegge le oltre 3mila cliniche private che proliferavano nel Paese, interrompendo il vile commercio sui corpi delle donne, nel totale spregio dei diritti dei bambini.
Nuove aperture dopo lo stop
In India, però, le pratiche di maternità surrogata non si sono affatto interrotte: rimasta la possibilità di effettuare una “donazione altruistica”, nonostante le decisioni volte a frenare il turismo procreativo, altre disposizioni di legge favoriscono il ricorso alla GPA. Il governo del Punjab, per esempio, ha recentemente stabilito che non solo la madre surrogata, ma anche la committente debba godere di congedo di maternità, anche nel caso in cui quest’ultima non abbia alcun legame biologico con il nascituro. Semplicemente lo registrerà come proprio figlio alla nascita. Il provvedimento manifesta un’ideologia netta: l’infertilità è trattata alla stregua di malattia grave, “curabile” tramite l’utilizzo del pacchetto biologico di altre donne e di altri uomini, fino al punto di considerare “proprietà individuale” la maternità altrui, e come tale compensata e tutelata.
È degli ultimi giorni, poi, un’altra notizia. Il Consiglio dei ministri indiano ha approvato le modifiche al Surrogacy Regulation Bill secondo le raccomandazioni avanzate dalla Commissione Speciale della Camera alta del Parlamento dopo la precedente approvazione della Camera bassa. Tali modifiche aprono l’accesso alla maternità surrogata anche alle donne single, alle vedove e alle divorziate. Non si parla, invece, di uomini single o di coppie omosessuali. Eliminato, inoltre, il vincolo di parentela tra la surrogata e la committente. La gestante avrà diritto a una copertura assicurativa per 36 mesi, ma gli unici pagamenti previsti restano quelli per le spese mediche. Nessun cenno ai gravi reali rischi delle procedure della GPA per la madre e per il bambino.
Sono scelte molto gravi, da parte del governo indiano, che, pur avendo mostrato attenzione nei riguardi delle donne sottoposte a sfruttamento economico, decide di non curarsi dei diritti dei bambini oggetti, loro malgrado, di contratti, se non più di “compravendita” – ammesso che la legge sia sufficiente a debellare il mercato – ma “altruistici”. Strano genere di altruismo, quello praticato sulla pelle dei bambini…