Nello Stato indiano del Maharashtra, nel distretto di Beed, si coltiva la canna da zucchero. Vi giungono dai villaggi più poveri le lavoratrici migranti, insieme al marito, ai figli e alle figlie in età da lavoro benché ancora bambini, alla famiglia del marito.
Gli appaltatori che assumono gli operai per conto dei proprietari dei campi li dividono a coppie, poi li mandano nei canneti a tagliare le canne pronte per le lavorazioni successive. Il lavoro inizia all’alba e continua fino a notte, senza soste se non di pochi istanti. Tutto ciò per 4, 5 mesi. Poi gli operai tornano nei villaggi da cui sono venuti, dove si dedicano a una agricoltura povera, di mera sussistenza, oppure si impiegano nei piccoli negozi o sulle bancarelle dei mercatini all’aperto.
Durante i lunghi mesi di lavoro nei canneti, non vi è per le donne alcun tipo di tutela, né di sollievo. Non vi sono servizi igienici riparati, bagni, toilette di alcun genere. Sono costrette ad attendere la notte per espletare i bisogni fisiologici e nel periodo in cui hanno le mestruazioni non hanno alcun modo di prendersi cura di sé e della propria igiene. Non solo non sono autorizzate a interrompere il lavoro, ma non possono lavarsi anche per giorni, non dispongono di acqua pulita, non hanno assorbenti igienici ma debbono accontentarsi di stracci ricavati dalle sottovesti oppure addirittura di foglie morbide raccattate in giro.
Lo racconta Behan Box, un sito web di attivisti per i diritti femminili con sede in India, che evidenzia però uno sviluppo ulteriore della questione. Le condizioni igieniche e sanitarie terribili cui queste donne sono costrette comportano un’incidenza altissima di disturbi, infezioni, malattie all’apparato genitale.
La soluzione prospettata dai medici locali è una sola: l’isterectomia, la rimozione dell’utero, che a loro dire “risolverebbe” il problema per sempre. È così che molte donne della zona, spaventate dai sanitari che prospettano loro l’ipotesi di tumori e recidive, spose a 14 anni, madri più volte a 17, 18, 19 anni, poco dopo i venti accettano e spendono circa 35mila rupie indiane (pari a più di 400 euro, mentre lo stipendio medio mensile in agricoltura ammonta in India a 84 euro, e non certo per povere lavoratrici stagionali e migranti) e accettano di essere sottoposte all’intervento chirurgico. Che, ovviamente, è irreversibile e comporta comunque una serie di morbilità successive dolorose e altrettanto irreversibili.
I dati forniti per il 2019 dal dipartimento di Sanità pubblica del Maharashtra parlano di 13.861 donne sottoposte a isterectomia fra le 82.309 tagliatrici di canna da zucchero nel distretto di Beed, pari al 17%. Un’indagine giornalistica condotta dal quotidiano The Indu, però, evidenzia che in alcuni villaggi, per esempio Vanjarwadi, il 50% delle donne ha subito l’intervento chirurgico di rimozione dell’utero.
Sotto la sferza delle urla degli appaltatori, le donne indiane lavorano senza sosta quando hanno le mestruazioni, nel corso della gravidanza e naturalmente anche immediatamente dopo il parto, che spesso avviene nei canneti, durante il turno di lavoro. Sempre che i piccoli scampino all’aborto spontaneo dovuto alle fatiche stremanti imposte alle madri. Agli appaltatori non interessano i problemi delle donne, o semplicemente le loro condizioni fisiologiche. Interessano poco anche al governo, se la Sanità pubblica non si occupa della condizione delle lavoratrici e i medici locali propongono null’altro che l’isterectomia e la sterilità a vita.
«Sono più di cinque anni che sottolineiamo la necessità di registrare le lavoratrici della canna da zucchero. Nel 2019, quando è scoppiato lo scandalo sulle isterectomie nel distretto del Beed, il governo ha finalmente istituito un comitato guidato da Neelam Gorhe, vicepresidente del Consiglio legislativo del Maharashtra. È stato allora che abbiamo condotto il sondaggio a Beed, Hingoli, Jalna, Latur, Nanded, Osmanabad, Parbhani e Solapur», racconta a Behan Box Manisha Tokle, presidentessa di Jagar Pratishthan, un’organizzazione per i diritti di genere, e membro del comitato di coordinamento statale di Mahila Kisan Adhikaar Manch (MAKAAM), forum pan-indiano per i diritti delle donne impiegate nel settore dell’agricoltura.
«È stata presentata una proposta per unità sanitarie mobili e campi sanitari», continua la Tokle. «Il 23 luglio 2019 inoltre è stata preparata una circolare dall’assessorato al Lavoro e dal dipartimento della Salute che elencava le strutture di base per le lavoratrici della canna da zucchero. Ma non è successo niente».