Last updated on Agosto 21st, 2020 at 08:56 am
Nel 2019 40.080 bambine sono state abortite in Vietnam. Il dato, reso noto da VnExpress International, uno dei quotidiani online più diffusi del Paese asiatico, accende i riflettori su un’ecatombe che si ripete ogni anno, con numeri sempre crescenti. E le donne, siano esse giovani madri o bambine non ancora nate, sono vittime due volte.
I dati, che provengono dal rapporto 2020 stilato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), mostrano come, nel 2019, ci siano state in Vietnam 111,5 nascite maschili a fronte di 100 nascite femminili, quando l’equilibrio biologico naturale prevede uno scarto medio di 1 punto tra i sessi. Pham Ngoc Tien, direttore del Dipartimento per l’uguaglianza di genere del ministero del Lavoro, ha commentato i dati, ammettendo: «Il Vietnam ha sempre considerato l’uguaglianza di genere sia come obiettivo sia come forza trainante per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia la disuguaglianza di genere rimane persistente nella società a causa dell’influenza del confucianesimo».
Un maschilismo con radici antiche
Dal confucianesimo deriva infatti l’idea della donna come presenza sottomessa al marito, dedita solamente alla cura della casa, casa nella quale deve trascorrere la maggior parte della vita, anche se ogni tanto deve uscire per svolgere alcune commissioni utili agli uomini. Accettato questo declassamento di fatto della donna, è facile comprendere come la diffusione delle mutilazioni genitali femminili, dei matrimoni combinati e dei pregiudizi nei confronti delle figlie femmine non abbiano trovato grandi resistenze nell’opinione pubblica, attraversando i secoli per resistere ancora oggi.
Da qui deriva la pratica del Loto d’oro, ossia della fasciatura dei piedi delle donne, che non è semplicemente una risposta a canoni estremi di bellezza, con l’andatura oscillante e fragile provocata dalla fasciatura innaturale, ma segno visibile e perenne di dipendenza della donna dall’uomo. Il primo scarto tra la popolazione maschile e quella femminile in Vietnam è stato registrato nel 2004, ma più l’attenzione dell’UNFPA si focalizzava sul Paese, più veniva alla luce una situazione drammatica.
Naomi Kitahara, rappresentante dell’UNFPA in Vietnam, ha dichiarato a VnExpress International che decenni di aborti selettivi hanno impedito a 140 milioni di bambine di nascere. Kitahara si è poi rivolta agli uomini vietnamiti: «Gli uomini hanno un ruolo da svolgere, abbiamo bisogno di uomini e ragazzi per sostenere questo sforzo». Le bambine non nate sono le vittime innocenti di questa mentalità maschilista, questa sì davvero lesiva della dignità umana, questa sì vera mascolinità tossica contro la quale però il femminismo occidentale tace. E vittime sono anche le donne accompagnate ad abortire, donne che in Vietnam sono sempre più giovani e abbandonate a se stesse.
Un record triste
Nell’agosto del 2010 Lorenzo Schoepflin ha realizzato per Avvenire un reportage approfondito sulla situazione dell’aborto nel mondo. «Nel 2006», si legge nel servizio, «si è calcolato che a fronte di 17 bimbi nati ogni 1000 donne in età fertile si registravano 83 aborti, e che mediamente una donna vietnamita subiva nell’arco della propria vita 2,5 aborti. Nel maggio scorso il Vietnam è entrato nella classifica dei dieci Stati con la più alta diffusione dell’aborto, con particolare riferimento alle interruzioni di gravidanza in donne con meno di 19 anni». Una situazione che dieci anni dopo si conferma invariata, anzi aggravata.
Il dato delle 40.080 bambine abortite infatti potrebbe essere frutto di una stima al ribasso. In Vietnam crescono gli aborti domestici e si diffondono pseudo-cliniche dedicate all’aborto, strutture nelle quali non esistono le minime regole igieniche ma solo un business di morte. I pochissimi soldi che una donna giovane possiede vengono presi per farla abortire: le conseguenze emotive, psicologiche e fisiche di questo gesto non sono certo un problema di questi medici o presunti tali. E, secondo AsiaNews, ad analizzare con attenzione i dati degli aborti in Vietnam, il numero di bambini non nati ogni anno potrebbe raggiungere quota 300mila.
La stima peggiore però, fornita da alcuni attivisti pro-life che hanno provato ad analizzare anche i dati degli aborti illegali, parla di oltre un milione di aborti all’anno. Impossibile avere accesso a numeri chiari, certi, ma un dato è sicuro e certificato anche dalle organizzazioni sanitarie internazionali: il Vietnam si conferma il primo Paese del Sud-est asiatico per numero di aborti ogni anno.
La Chiesa e la speranza
Una presenza controcorrente? Le Caritas diocesane. Da oltre dieci anni organizzano corsi di formazione per medici e per volontari, creando una rete che possa sostenere le giovani lasciate sole da famiglia, società e Stato ad affrontare la gravidanza. Se ogni anno decine di migliaia di bambini non nati spariscono nel nulla, nascosti persino alle stime ufficiali degli aborti, la Chiesa cattolica locale ha deciso di lasciare un segno tangibile della loro presenza.
Sono nati così i «Giardini degli angeli», veri e propri giardini pieni di fiori dove i piccoli bambini abortiti ricevono una degna sepoltura. Solo nella diocesi settentrionale di Bắc Ninh, tra fiori e preghiere, riposano 14mila bambini non nati. E, come racconta Tống Phước Phúc, ex carpentiere residente a Phương Sài, quartiere di Nha Trangnon, non è raro che qualche giovane donna vietnamita passeggi nei giardini degli angeli, guardando con occhi pieni di sofferenza le piccole tombe, forse cercando quella del suo bambino, forse cercando un po’ di pace dal dolore dell’anima. Un dolore ignorato dalla mentalità maschilista imperante e sfruttato dal business delle cliniche illegali. Un dolore di fronte al quale il silenzio dell’Occidente è sempre più difficile da giustificare.