Il turismo al tempo del coronavirus: automi, non viaggiatori

La complessa situazione dell’Ucraina, dove i diritti della persona evaporano

Bandiera ucraina dipinta su un muro di mattoni

Image by David Peterson from Pixabay

Last updated on Novembre 19th, 2020 at 05:08 am

L’Ucraina è un Paese complesso, dalla storia travagliata.

Passata dall’impero zarista all’Unione Sovietica nel 1922, con il nome di Repubblica socialista sovietica ucraina, ne ha condiviso vicende e tragedie, sino alla collettivizzazione forzata della terra e dell’agricoltura che ha condotto alla grande carestia del 1932-1933 e all’Holodomor, il genocidio negato, ordinato da Stalin (1878-1953), che ha contato in quegli anni, secondo stime accreditate, cinque milioni di morti per fame.

È del 1986, impossibile dimenticarlo, il disastro della centrale nucleare di Černobyl’, a nord di Kiev, la capitale.

Nel 1990 vi fu la Dichiarazione di sovranità ucraina e nel 1991 l’Atto d’Indipendenza, con la proclamazione di una Repubblica autonoma e sovrana, che ha però continuato ad avvertire il peso dell’influenza russa.

Gli anni 2000 hanno visto il rincorrersi della Rivoluzione arancione (nel 2004), la lunga detenzione di Julija Tymošenko (dal 2011al 2014), le rivolte filo-occidentali del 2013, la dichiarazione di autonomia della Crimea e la conseguente annessione alla Russia (nel 2014), la guerra nel Donbass.

E oggi? Oggi, è una breve notizia di cronaca quella che conduce fino alla repubblica affacciata sul Mar Nero: come Svezia e Islanda, anche l’Ucraina rischia di diventare meta prescelta dalle donne polacche che, in ragione della nuova legislazione contraria all’aborto promossa da Varsavia, decideranno di rivolgersi all’estero per interrompere comunque la gravidanza. In questo momento, anche a seguito delle numerose proteste di piazza, la situazione in Polonia è in sospeso, ma i legami con la repubblica ucraina affondano radici profonde in un passato storico comune di memoria sovietica e certamente nella vicinanza geografica. Si inizia a parlare, con parole pesanti come pietre, di “turismo abortivo” diretto a Lviv (Leopoli) e a Kiev.

Solo pochi mesi fa, nel cuore del lockdown imposto al mondo dal CoVid-19 in primavera, si era parlato invece di “turismo riproduttivo”, quando 46 neonati nati da gravidanza surrogata, o gestazione per altri (GPA), o meglio utero in affitto, sono rimasti a lungo nei loro lettini in un hotel di Kiev. Piccoli commissionati da coppie francesi, statunitensi, ma anche italiane (e occorre ricordare che la pratica della maternità surrogata in Italia è illegale), affidati alle cure certamente professionali (la “merce” deve essere custodita con cura) ma si spera anche amorevoli di personale infermieristico dedicato, hanno atteso a lungo che i “genitori” potessero compiere il viaggio per recarsi a prenderli. Esistono video sconvolgenti, in cui il personale della clinica che si è occupata della gestione della “pratica” rassicura le coppie all’estero sulla salute dei piccoli e sulle cure loro prestate.

Ancora un passo indietro, e ad affacciarsi agli onori, anzi, al disonore della cronaca, è il “turismo sessuale” diretto verso l’Ucraina: nel Paese la prostituzione è illegale, ma diffusa e largamente ignorata dal governo. Non è un reato, bensì un illecito amministrativo, sanzionabile con una multa, a partire dal 1987. Già nel 2012 il Multimedia Centre, osservatorio del Parlamento Europeo, esprimeva la propria preoccupazione per l’aumento di questo fenomeno, la cui causa era attribuita soprattutto alle difficili condizioni economiche della Nazione, sia nelle città sia specialmente nelle zone rurali più arretrate, e che si temeva potesse vedere un ulteriore incremento nel corso del campionato europeo di calcio Euro 2012, che avrebbe condotto nel Paese un numero elevato di turisti di sesso maschile interessati, evidentemente, ad altro rispetto allo sport.

Oggi, con una tendenza che a partire dal 2018 pare essersi consolidata (o incancrenita), l’adozione internazionale è in crisi. La flessione economica rende sempre meno accessibile l’investimento finanziario necessario per adottare un bambino o una bambina all’estero, e pratiche scientifiche sempre più estreme rendono preferibile per molti rivolgersi alla medicina per ottenere una “pancia”, prima che un figlio o una figlia. Fino a non molti anni fa, però, l’Ucraina figurava tra i Paesi preferiti per l’adozione da parte di coppie europee e statunitensi, anche in ragione dell’aspetto caucasico dei bambini, ritenuti integrabili più facilmente, perché più simili d’aspetto alle famiglie che li accoglievano. Purtroppo, così come in Romania, in Bielorussia e in Russia,  taluni scandali, legati a episodi di corruzione avvenuti in alcuni degli istituti che ospitavano i piccoli, hanno funestato le storie di persone perbene e di bambini desiderosi dell’amore dei genitori.

Non è possibile, evidentemente, trarre conclusioni da quanto osservato fin qui. Si tratta in parte di fenomeni diffusi da tempo nei Paesi nati dal disfacimento dell’URSS avvenuto alla fine del XX secolo. In parte, invece, per quanto riguarda per esempio la questione dell’aborto e dell’utero in affitto, sono frutto di questi nostri anni, diffusi nell’Europa orientale così come in India e in altre zone del mondo.

Ciò che emerge è certamente una concezione purtroppo diffusa della persona umana ridotta a solo corpo, privo di anima e pertanto di dignità, a una sorta di “meccano” di gambe, braccia, uteri, genitali, occhi, nasi… A un oggetto, da comprare o da usare o da buttare via.

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