Il sacro fuoco verde della svolta ecologista

Anche la guerra in Ucraina viene sfruttata dai paladini dell’ideologia «green»

Image from Pixabay

Che lo spettacolo debba continuare è nell’ordine naturale e forse cinico delle cose. Ciò nonostante alcune prese di posizione politiche e alcuni commenti dei media suscitano un sorriso, benché amaro.

È il caso della grave crisi nel mercato dell’energia conseguente alla guerra in corso in Ucraina e del riverbero che essa ha sugli altri Paesi, che qualcuno avrebbe deciso di derubricare a scusa o a pretesto per applicare, in modo men che rigoroso, le pratiche economiche e politiche necessarie a fronteggiare ben altra crisi: quella climatica.

Questo è ciò che si legge, per esempio, sul sito web del network dell’informazione canadese CBC, in un articolo dal titolo The war in Ukraine threatens to stall progress on tackling the climate crisis in cui si afferma, in buona sostanza, che «l’azione in favore del clima non è qualcosa che i governi possano mettere da parte quando diventa scomoda».

Ora, se è indubbio che occuparsi della salute del Pianeta e preservarne o addirittura ripararne gli equilibri sia cosa buona e giusta, sfugge però in questo caso l’ordine di priorità.

La guerra in Ucraina, rileva l’articolo, «non modifica la situazione per quanto riguarda il cambiamento climatico, una realtà nuovamente evidenziata dal grave rapporto del panel delle Nazioni Unite sul tema […]. Ma le ramificazioni di questa guerra vengono utilizzate per sollevare nuove questioni rispetto alla politica climatica ed energetica canadese». Il sorriso si fa ancora più amaro. Senza voler cadere, o scadere, nel «benaltrismo», pare però che allo stato attuale delle cose le questioni più gravi non riguardino il presunto rallentamento nella corsa alla salvezza dei ghiacciai.

«Con i prezzi del gas in aumento una settimana dopo che le forze di Vladimir Putin hanno invaso l’Ucraina», questi sono i fatti, «il sindaco di Brampton Patrick Brown ha scritto al ministro delle finanze [canadese] Chrystia Freeland per suggerirle di ritardare l’aumento annuale della tassa federale sul carbonio, che dovrebbe entrare in vigore il 1° aprile. “Ora è il momento sbagliato per imporre un nuovo fardello”, ha affermato», evidentemente preoccupato dell’impatto su famiglie e aziende di un aumento dei costi, per quanto pianificato.

La questione pare in verità essere squisitamente politica e poco idealistica, quando continuando la lettura si verifica che Brown «[…] sta per entrare nella corsa alla leadership del Partito conservatore», come sottolinea l’articolista, lasciando intendere un poco maliziosamente che sarebbe solo questo aspetto a spingerlo verso una politica climatica giudicata evidentemente sbagliata da cima a fondo.

Il battibecco assume connotazioni anche più ampie quando nell’articolo si passa a parlare di investimenti importanti, esportazioni, gasdotti, forniture di energia all’Europa e ai Paesi orientali. Il tutto, però, sempre ammantato dal sacro fuoco verde della svolta ecologista.

«Tra oggi e il 2050, data fissata come obiettivo per portare le emissioni mondiali di gas serra a zero, ci saranno molti momenti in cui i leader saranno tentati di deviare dall’obiettivo di ridurre le emissioni e passare a un’economia pulita», continua l’articolista. «Per quanto i responsabili politici debbano tenere conto degli impatti pratici dell’azione per il clima, la sospensione di un aumento pianificato della tassa sul carbonio ora potrebbe costituire un precedente problematico».

Non importa cioè cosa accade, non importa quanto costa, non importa quanto le persone debbano pagare, l’altare green richiede il suo tributo all’umanità, considerata un peso per il Pianeta e per l’ambiente.

Exit mobile version