Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:24 am
Ma non si può concepire e partorire anche senza fastidiose cerimonie e senza dover esibire certificati? Certo, ma se non ti sposi in chiesa, significa che non hai intenzione di accompagnare il tuo “partner” anche nelle fasi più sgradevoli della sua vita e della sua morte, e che i bambini ti sarebbero di ostacolo.
Il coniuge, ormai, quando sta male, o se non si rivela la creatura angelicata che ti aveva conquistato il cuore, lo molli o lo cambi. Fanno così nei reality show, perché mai si dovrebbe rimanere ancorati ai tradizionali princìpi di fedeltà e di mutua assistenza, senza parlare della santificazione reciproca che si richiede ai nubendi nel matrimonio religioso? Finché va, va. Poi si entra in nomination e si trovano nuovi “compagni”. Per questo i matrimoni con rito religioso vanno scomparendo, spiega l’ISTAT nel rapporto Matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi pubblicato il 18 febbraio e relativo al 2019, rimarcando la tendenza ormai quarantennale al calo della nuzialità che vede un’impennata delle convivenze, più comode e meno impegnative dal punto di vista non solo economico, ma soprattutto sotto il profilo esistenziale. Così le nozze celebrate civilmente (ma occorrerebbe confutare l’idea che si tratti di un elemento di civiltà) sono passate dal 2,3% del 1970 al 36,7% del 2008 fino al 52,6% del 2019, quando sono state in totale 96.789.
Comunque con il cosiddetto «divorzio breve» adesso si fa presto a sbarazzarsi del marito o della moglie. Bastano dodici mesi per le separazioni giudiziali e sei per quelle consensuali. Da quando, nel 2015, sono state introdotte due leggi che agevolano lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il numero di divorzi ha subito un’impennata improvvisa: +57,5% in un solo anno. Diranno che si trattava di situazioni insostenibili, evocheranno casi limite e rapporti stanchi che non avevano più ragione di esistere. Tutte scuse. La riserva mentale c’era anche prima della cerimonia. Guarda caso, l’ISTAT registra, allo stesso tempo, il boom delle seconde nozze, in particolare nel biennio 2015-2016. Vuol dire che in molti casi avevano l’amante e che si sono “rifatti una vita”, come dice un luogo comune. Nel 2019 i divorzi sono stati 85.349, il 3,5% in meno rispetto al 2018 e il 13,9% in meno nel confronto con il 2016, anno di massimo relativo (99.071).
E poi, in tutto questo turbinio di scambi di coppia, perché mai si dovrebbero interrompere le storie di poliamore infilandosi in casa un estraneo che piange, strilla, ha bisogno di tutto, porta via spazio e costa un sacco di soldi per un mucchio di tempo? Mediamente, i figli durano più dei genitori e dei loro matrimoni. Ecco perché in Italia non se ne fanno più. L’età media delle donne italiane al momento del parto del primo figlio sta aumentando e si attesta a 31,3 anni, la più alta d’Europa, riporta Eurostat. Le statistiche lo dicono, ma non lo spiegano. E non sanno nemmeno trovare i rimedi. Per questo sono dette «cifre aride». Però talvolta, se le si confronta, si riesce a capire. Un confronto fra gli incentivi che favoriscono l’immigrazione clandestina e il tasso di natalità illumina il percorso: continuiamo a versare denaro nelle tasche degli immigrati, sottraendolo al sostegno alla maternità. Fra l’altro, con la pandemia è crollato dell’80% anche il numero dei matrimoni, già in crisi per la mancanza di aiuti alle famiglie. Ma, se invece di spendere 35 euro al giorno per mantenere i richiedenti asilo, lo Stato li destinasse alle madri, forse calerebbe anche il numero degli aborti, attualmente circa 80mila l’anno in Italia.
Macché, da noi ormai si pensa ad altro. Dal 5 giugno 2016, data di entrata in vigore della legge che le ha introdotte, si sono costituite in tutto 11.817 unioni civili tra persone dello stesso sesso. È vero anche che al boom iniziale ha fatto poi seguito un progressivo ridimensionamento, ma si tratta pur sempre di coppie che non procreeranno. Hanno rinunciato al futuro per un presente instabile.