Last updated on marzo 13th, 2021 at 03:14 am
Era già accaduto nel 2015, quando l’avvocato Robert Stansham-Ford, malato terminale, aveva presentato istanza urgente all’Alta Corte di Pretoria, in Sudafrica, per ordinare che un medico fosse giuridicamente autorizzato a somministrargli una dose letale che ponesse fine alla sua vita. Il giudice, Hans Fabricius, si era pronunciato in suo favore, ma la sentenza – all’insaputa del giudice – era arrivata due ore dopo la morte, avvenuta naturalmente, di Stansham-Ford.
Si trattava, in quel caso, di un’istanza per un’applicazione individuale e non di interesse pubblico. L’istanza – nonostante la dipartita dell’interessato – è successivamente giunta alla Corte Suprema, che il 6 dicembre 2016 ha ribaltato la sentenza, dichiarando l’argomento di competenza del parlamento e non dei giudici. Sugli errori commessi dal giudice Fabricius con quella sentenza, l’associazione Euthanasia Exposed, costituita per opporsi all’eutanasia e al suicidio assistito in Sudafrica, ha pubblicato un documento dettagliato, inerente non solo le questioni etiche, ma anche il diritto sostanziale e processuale.
Attivista accetta patteggiamento
La posizione di rigetto delle pratiche eutanasiche in Sudafrica è emersa ancora lo scorso anno, quando il medico di origine neozelandese Sean Davison, attivista per il diritto della cosiddetta «morte dignitosa», ha accettato un patteggiamento con i giudici del tribunale di Città del Capo dopo essere stato accusato di tre omicidi. Di fronte al rischio di essere condannato a tre ergastoli, Davison, che aveva già preso parte al suicidio assistito della propria stessa madre, ha preferito dichiararsi colpevole e accettare tre anni di arresti domiciliari oltre a lavori socialmente utili.
Un nuovo caso davanti all’Alta Corte
Ora torna però in tribunale la sfida cruciale per decidere della legalizzazione dell’eutanasia nel Paese: la dottoressa Suzanne Walter, specialista in cure palliative, e il suo paziente Diethelm Harck, entrambi malati terminali, chiedono all’Alta Corte di Johannesburg una riforma legislativa che dichiari incostituzionale il divieto al suicidio assistito (PAS) – dove il medico prescrive e il paziente si autosomministra – e all’eutanasia assistita (PAE), dove il medico somministra direttamente un medicinale che ponga fine alla vita del paziente. Chiedono anche una modifica, da parte del parlamento, della legge che consenta questa procedura e che l’Alta Corte stabilisca che un paziente sano di mente possa rivolgersi a un giudice per un’ordinanza che gli consenta l’accesso all’eutanasia finché la nuova legge non venga approvata.
La discussione del caso era programmata entro la fine del 2021, ma, vista la natura grave e terminale delle malattie di entrambi i ricorrenti, le audizioni sono già iniziate in febbraio. Il Centre for Applied Legal Studies (CALS) è stato ammesso in tribunale per sostenere il presunto diritto a «morire con dignità» e presenterà prove di esperti in giurisdizioni estere dove la morte assistita è già regolamentata dalla legge, come i Paesi Bassi, il Canada e lo Stato nordamericano dell’Oregon. Il CALS sostiene che l’assenza di un diritto alla morte assistita possa equivalere a tortura o crudele punizione.
Harck ha testimoniato nei giorni scorsi: «La mia più grande paura è che, quando il mio amore per la vita raggiungerà lo stadio di paura della vita, non sarò in grado di morire». Questa paura lo spinge a voler decidere quando e in che modo lasciare questa Terra, domandando una legge che gli permetta di esprimere le proprie volontà a un medico in grado di aiutarlo a morire.
Con una dichiarazione giurata l’avvocato Bruce Leech e il dottor Paul Rowe, associati alla causa come «amici del tribunale» (titolo con cui si designa chi non sia parte in causa in un procedimento, ma offra volontariamente informazioni all’aula su un aspetto della legge), hanno affermato che debba essere «l’etica cristiana ereditata dai sistemi giuridici coloniali di diritto romano-neerlandese prima e britannico poi del Sudafrica» a determinare la politica pubblica. L’accusa è che «i valori cristiani vengono imposti direttamente e indirettamente a persone che non necessariamente li condividono», dunque che il «[…] mantenimento di questa politica è una chiara limitazione che il diritto impone, ai sensi della Costituzione, di esercitare liberamente la propria scelta religiosa e di credere o di pensare liberamente ciò che si sceglie».
A difesa del diritto alla vita
All’istanza della Walter e di Harck si oppone il Consiglio delle professioni mediche del Sudafrica (HPCSA), il quale sostiene che la legalizzazione dell’eutanasia lascerebbe i pazienti vulnerabili alla collusione tra medici senza scrupoli e familiari: «Esiste uno scenario sgradevole, in cui un individuo venga costretto a porre fine alla propria vita attraverso PAS o PAE. E non lo si potrebbe rintracciare. Questo accadrebbe, purtroppo, nella nostra società, qualora il potere dell’eutanasia e del suicidio assistito fosse conferito e concesso per legge».
L’avvocato dell’HPCSA, Adrian D’Oliveira, afferma che, anche giuridicamente, in Sudafrica è già consentita, da parte dei medici di cure palliative, la «sedizione terminale profonda» per i pazienti in stato di sofferenza. L’HPCSA, insieme ai ministri della Salute e della Giustizia, nonché al direttore nazionale dell’Accusa pubblica affermano che le cure palliative allevino le sofferenze e che il «permanere del divieto all’eutanasia sia necessario per proteggere il diritto alla vita».
Anche l’organizzazione civica Cause for Justice si oppone alla richiesta, sostenendo che ai medici non deve essere permesso di uccidere una persona, perché indipendentemente dalla perdita di qualità della vita, ogni esistenza umana ha valore intrinseco: «Allontanarsi da questo principio si tradurrà in un cambiamento culturale e in una pericolosa china verso l’accettazione della morte come soluzione al dolore e alla sofferenza umana».
È un dato di fatto documentato che nei Paesi in cui l’eutanasia è legale gli abusi siano all’ordine del giorno e il diritto alla vita in serio pericolo là dove alcune vite vengono considerate non degne di essere vissute.