Il “clan Biden” targato Soros

Il grande nemico di vita e famiglia alla conquista degli Stati Uniti

George Soros

George Soros

Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:11 pm

Se il buongiorno si vede dal mattino, un’occhiata all’alba di Joe Biden basta subito a guastare tutta la giornata.

Infatti, non solo il magnate George Soros, ben noto finanziatore di campagne internazionali a favore di aborto e ideologia gender attraverso il network delle Open Society Foundations, ha versato più di 70 milioni di dollari a sostegno della candidatura di Biden, laddove quattro anni fa ne versò 22 per la Clinton. Non solo il milionario liberal governa pure giganti social come Facebook e Twitter attraverso le commissioni di factchecking: dopo gli attacchi che in gennaio mosse al patron di Facebook, Mark Zuckerberg, Soros ha preteso e imposto a Facebook almeno 18 su 20 esperti censori delle notizie in specie relative alle elezioni statunitensi. Soros ha pure già occupato il «team di transizione», il gruppo di esperti che negli Stati Uniti d’America garantisce continuità istituzionale fra l’Amministrazione entrante e quella uscente.

Nel “clan Biden” targato Soros vi sono per esempio Sarah Cross, già direttrice della sezione di Open Society per i patrocini legali, cui spetta il compito di valutare le agenzie governative, e Michael Pan, consulente speciale del Comitato esecutivo di Open Society, che si occuperà della missione diplomatica degli Stati Uniti all’Organizzazione delle Nazioni Unite. E se nel team vi è anche Diane Thompson, Leadership in Government Fellow di Open Society Foundations, altri lavorano per gruppi che dall’universo Soros hanno ricevuto finanziamenti ingenti.

Sharon Burke e Viv Graubard, che per Biden si occupano del ministero della Difesa e di quello del Dipartimento del Lavoro, fanno parte del think tank New America a cui Open Society Foundations ha donato più di 1 milione di dollari solo l’anno scorso.

Sei sono i dipendenti del Center for American Progress del guru Democratico John Podesta, già presidente della campagna elettorale di Hillary Clinton per le elezioni presidenziali del 2016, che si stanno occupando dei ministeri di Tesoro, Lavoro e Interni, del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, dell’Ufficio del Rappresentante per il Commercio (che agisce per conto del presidente della repubblica federale nelle questioni del commercio internazionale) e della Federal Reserve (la Banca centrale degli Stati Uniti): nel solo 2018 le fondazioni di Soros hanno donato più di 1 milione di dollari al Centro di Podesta. E addirittura il presidente del Center for American Progress, Neera Tanden, è stata scelta per l’Ufficio della gestione e del bilancio federale da cui dipende l’amministrazione di miliardi di dollari all’anno.

Ma Soros pretende molto di più. Il deus ex machina della sua stessa Open Society Foundations, Patrick Gaspard, già consulente politico di Barack Obama, si è dimesso mettendosi a disposizione per il gabinetto Biden. La sua conoscenza dettagliata dei modi attraverso cui il network di Soros opera nel mondo ne fa infatti un asset strategico.

Nel frattempo Soros cerca di fare cappotto influenzando a suon di dollari l’esito delle elezioni di ballottaggio per il Senato federale che si svolgeranno in Georgia il 5 gennaio, sperando di conquistare ai Democratici anche la “Camera alta” del Congresso da cui dipendono nomine federali decisive come quelle dei ministri e dei giudici, e ultimamente pure l’attività legislativa. I precedenti che Soros ha disseminato un po’ ovunque rendono quest’alba cupa per le politiche pro family, pro life e a favore delle vere libertà della persona a partire da quella religiosa e da quella educativa. Ma se, grazie alla Georgia, i Repubblicani conserveranno la maggioranza nel Senato degli Stati Uniti, la vita politica del presidente in pectore Soros sarà più complicata.

Image source: George Soros al Festival dell’Economia di Trento il 3 giugno 2018, photo by Niccolò Caranti from Wikimedia Commons, self-published work, licensed by CC-BY-SA-4.0

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