Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:03 am
Lockdown e utero in affitto: sono passati più di venti giorni dalla lettera inviata da Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella e Carlo Giovanardi al ministro della Giustizia, Augusto Bonafede per chiedere, in relazione ai neonati di Kiev, «[…] di esercitare le proprie prerogative affinché chi ha commesso i delitti relativi alla pratica dell’utero in affitto, reato per il nostro codice penale, venga perseguito e non rimanga nessun dubbio sulla volontà delle istituzioni italiane di combattere i fenomeni di criminalità mafiosa».
Tutti ricordano la vicenda delle decine di bimbi nati da maternità surrogata e ammassati in un hotel di Kiev, data l’impossibilità dei committenti di andare a “ritirarli” per via della chiusura delle frontiere e del divieto di movimento durante la pandemia di CoVid-19. E mentre la Repubblica pubblicava l’appello di una donna di Milano impossibilitata a entrare in Ucraina per raggiungere la bambina “commissionata”, e nata a fine aprile, di cui si stava “perdendo” le prime settimane di vita, qualcuno ha fatto notare che, in Italia, la maternità surrogata è ancora un reato a tutti gli effetti.
Nella lettera inviata a Bonafede si ricorda che «nel nostro paese infatti non soltanto non è consentita tale pratica ma l’art. 12 comma 6 della legge 40 del 2004 stabilisce che “chiunque in qualsiasi forma, realizza, organizza, pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da euro 600.000 ad euro un milione”». Essendo il reato compiuto all’estero, però, ed essendo la pena prevista inferiore ai tre anni di reclusione, è necessario un intervento del ministro della Giustizia affinché il colpevole venga punito.
Dunque, nessuna risposta ancora a questo appello decisivo, che mette al centro il rispetto della legalità e il bene dei neonati. Quale madre vorrebbe infatti che il proprio figlio fosse “stoccato” accanto a decine di altri bambini nella hall di un hotel, accudito da uno stuolo di babysitter? Un biberon e una culla comoda non sono sufficienti a rispondere ai bisogni fondamentali di un neonato, primo dei quali è «il contatto diretto con la madre», negato a questi bambini non già dall’accidente del lockdown, ma dalla pratica barbara dell’utero in affitto. La cura delle necessità biologiche da parte di una operatrice non è in alcun modo sufficiente per colmare le necessità affettive che permettono all’essere umano di formare la propria capacità di relazione. Le esperienze dei primi mesi di vita sono infatti fondamentali per lo sviluppo della persona in crescita, ed «è importante che tra il bambino e la madre si instauri l’attaccamento in quanto il bambino, rassicurato da questo legame speciale, può avere fiducia negli altri, in se stesso, nel mondo». Tutto ciò è già stato appunto negato ai bambini in attesa all’hotel Magnolia di Kiev.
Il loro sacrificio potrebbe però non essere stato inutile, se avesse sollevato una riflessione profonda e corale sulla surrogazione della maternità. Invece è di pochi giorni fa la notizia che, ai primi di settembre, mentre in Italia non si sa ancora bene se e come le scuole riapriranno, si terrà a Parigi una fiera dal titolo Desir d’enfant, dedicata esclusivamente alle «coppie omogenitoriali», e pochi giorni dopo la kermesse raddoppierà, in Belgio, con un evento dal titolo ancora più suggestivo: Man having babies, ristretto addirittura alle sole coppie di uomini omosessuali.
Né resta indietro il Regno Unito. È recente una sentenza della Corte suprema che ha assegnato a una donna resa sterile da una serie di errori clinici un (dovuto) risarcimento per il danno subito, che comprende però anche le spese sostenute per il ricorso alla maternità surrogata commerciale in California. Ora, nel Regno Unito la maternità surrogata è permessa solo nella modalità “altruistica”, laddove cioè alla surrogata vengano riconosciuti solo i “costi vivi” della gravidanza, senza alcun compenso ulteriore. Costi che l’Alta Corte aveva già riconosciuto come parte del risarcimento dovuto alla donna, che in seguito al mancato riconoscimento di un tumore alla cervice aveva subito gravi danni a vescica, intestino e vagina. Affermando di «preferire» le certezze maggiori che garantisce la legge sulla maternità surrogata in California – e affermando di desiderare ben quattro figli –, la donna ha fatto ricorso alla Corte d’Appello e alla Corte suprema, trovando ascolto. In questo modo, in linea di principio, la maternità surrogata commerciale è stata riconosciuta come pratica cui è possibile fare ricorso, pur se fuori dai confini nazionali. Di fatto, poi, le quattro gravidanze volute dalla donna saranno totalmente a carico dei contribuenti britannici, che si troveranno così a sovvenzionare un’azione riconosciuta illegale dal proprio Paese.
Le frontiere dell’Ucraina sono chiuse fino a domani, 22 giugno. Nonostante l’appello al governo per l’adozione dei neonati abbandonati a Kiev, i bambini restano in attesa di essere “ritirati”. Ma in questi tre mesi hanno vissuto, sono cresciuti, hanno fatto esperienze, si sono formati come persone ed individui. Chi li ripagherà per il tempo perduto? Un tempo di esperienze che non ritorneranno e che nessun risarcimento potrà mai colmare: saranno adulti, un giorno, che guarderanno in faccia i propri “committenti”, sapendo di aver avuto, già a tre mesi di vita, moltissimo da perdonare. Chissà se per superare questo dramma basterà, come pare basti all’opinione pubblica oggi, guardare le sfilate allo zucchero filato dei personaggi famosi che sui social ostentano le proprie famiglie “moderne”.