Il 50% dei medici britannici dice «sì» all’eutanasia

Avanza il «favor mortis». Le storie di Charlie Gard e Alfie Evans sono state l’allarme

Londra notte

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Last updated on Ottobre 25th, 2020 at 03:28 am

«Sì all’eutanasia». Secondo il 50% dei medici britannici la legge attualmente vigente nel Regno Unito dovrebbe essere modificata per consentire ai malati di essere aiutati a morire. La British Medical Association, il più grande sindacato dei medici della Gran Bretagna, è da sempre contraria a qualsiasi legge su eutanasia e suicidio assistito, ma l’esito di questo sondaggio potrebbe ora cambiare le carte in tavola. Il dato colpisce ma non sorprende, e le storie di Charlie Gard (2016-2017) e di Alfie Evans (2016-2018) tornano come presagi del favor mortis che avanza.

Gli studenti per la morte

Il sondaggio ha coinvolto 29mila medici ed è la più grande rilevazione mai effettuata sul tema nel mondo della sanità britannica. Il 39% dei medici si è dichiarato contrario a una modifica della legge in chiave pro-eutanasia, mentre l’11% si è detto indeciso. La domanda successiva però era «Sareste disponibili a prescrivere farmaci che causano la morte?» e qui solo il 36% dei medici pro-eutanasia ha risposto affermativamente.

Tra chi ha risposto al sondaggio la percentuale più alta dei favorevoli all’eutanasia si è registrata tra studenti di medicina e medici della terapia intensiva. I medici di base e i medici delle cure palliative si sono invece dichiarati in modo quasi compatto contrari all’eutanasia. Un dato che il dottor Gordon Macdonald, di Care Not Killing, commenta così: «Ancora una volta sembra esserci una differenza tra medici praticanti e non praticanti. I medici impegnati nella cura degli anziani e dei malati terminali, che lavorano nelle cure palliative, nella medicina geriatrica e nella medicina generale, continuano a opporsi al suicidio assistito e all’eutanasia».

Di posizione completamente opposta è sir Richard Thompson, ex medico della regina Elisabetta, secondo il quale i dottori avrebbero il dovere morale di accompagnare i pazienti verso una fine controllata e dignitosa.

La morte diventa “buona”

Ci sono espressioni curiose, espressioni non casuali, espressioni che ritornano: «qualità della vita», «morte dignitosa», «libertà di scelta». Nel caso del piccolo Charlie Gard, la sua «qualità della vita» non era sufficiente e perciò è stato “giusto” accompagnarlo verso una morte dignitosa. Charlie era affetto da deplezione del DNA mitocondriale, una malattia grave e rara: una malattia inguaribile, a oggi, ma non incurabile. Charlie non riusciva a esprimersi con tutti i vocalizzi che caratterizzano i bambini, Charlie aveva bisogno di un ventilatore che ne aiutasse i polmoni a fornire tutto l’ossigeno necessario, Charlie veniva nutrito attraverso un sondino.

I suoi giovani genitori, Connie e Chris, trascorrevano le giornate accanto a lui, avevano persino trasformato la sua stanza d’ospedale in un regno fatato, con lucine colorate e personaggi delle favole ovunque. Charlie era ricoverato al GOSH, il Great Ormond Street Hospital, uno degli ospedali britannici più prestigiosi. E proprio questi medici prestigiosi hanno deciso un giorno che la vita di Charlie avesse una qualità troppo bassa. Dunque questa vita doveva terminare. Per Charlie si è mosso il mondo. Manifestazioni, monumenti illuminati d’azzurro, il centralino del Vaticano in tilt con migliaia di telefonate che chiedevano un intervento della Santa Sede, il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald J. Trump, che si dichiarava pronto a fornire trasporto aereo e cure sperimentali. Ma tutto questo non è bastato.

Cosa c’è dietro al silenzio

Mentre il premier britannico, Theresa May, terminava le vacanze in un lussuoso hotel a Sirmione, il piccolo Charlie veniva trasportato in un hospice segreto. Qui è stato privato del ventilatore che lo aiutava a respirare. Qui è morto soffocato tra le braccia dei genitori, straziati dall’impotenza.

La «qualità della vita» è stata valutata da medici e giudici, la sua «morte dignitosa» è stata il soffocamento, la libertà di scelta è stata l’imposizione dell’eutanasia di Stato, come ha scritto Assuntina Morresi. Un finale drammaticamente simile a quello scritto per Alfie Evans l’anno successivo, ancora una volta su decisione di medici e di giudici. La legge sull’eutanasia non c’era, eppure queste vite sono state spezzate. La legge sull’eutanasia non c’è oggi, eppure il 50% dei medici si dichiara favorevole. Ma allora è lecito pensare che le orribili morti di Charlie e Alfie non siano le uniche? Che ci sia una prassi, non scritta e non dichiarata, che giustifichi o e addirittura promuova l’ipocritamente detta «buona morte» in caso di malattie inguaribili?

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