Il nostro è un mondo immemore e quindi ingrato. Accadono fatti stra-ordinari, avvengono cose fuori dal comune, ma il cinismo e l’assuefazione li archiviano subito senza badarci, anzi li annegano volentieri nella morta gora.
Il 9 marzo Ciudad de Guatemala, capitale dell’omonimo Stato centroamericano, è stata proclamata solennemente «Capitale iberoamericana della vita», e non è uno scherzo.
È stato infatti l’esito di un percorso preciso: culturale e politico, e anche questo non è cosa da poco. Perché il Guatemala ha scelto di promuovere una cultura precisa e di farne anche una scelta politica: la cultura che afferma la vita umana come diritto sacrosanto e inalienabile, base della famiglia, perno della società, fulcro della civiltà, ovvero che senza si ha solo la terra desolata dell’inciviltà.
Il Guatemala ha deciso cioè di essere normale: di indossare la norma naturale e la normatività della natura data. Ma in tempi eccezionali, ed eccezionalmente funesti come i nostri, dove la «cultura di morte» impera ed è propagandata come un diritto, questa normalità quotidiana è letteralmente eroica.
Questa cultura, normale ed eccezionale, quotidiana ed eroica, è stata quindi trasformata in opzione sociale, decisione politica e misura di governo da un personale politico che non si vergogna di essa. Che ha il coraggio di mostrarsi apertamente con questo volto, di scendere nell’arena, di giocarvisi reputazione e carriera.
Ciudad de Guatemala è diventata la Capitale iberoamericana del diritto alla vita perché il presidente Alejandro Giammattei ha deciso di formare un governo capace di assumersene il compito, ha deciso di guidarlo verso quello scopo, ha deciso di rappresentarlo nel mondo.
«iFamNews» era a Ciudad de Guatemala il 9 marzo per festeggiare l’evento assieme alla nazione guatemalteca e a quel suo straordinario ceto politico. C’erano Brian Brown, presidente dell’International Organization for the Family (IOF) ed editore di «iFamNews»; Robert Siedlecki, Consigliere generale e Direttore del settore espansione dello IOF; e il sottoscritto, direttore della testata che stai leggendo. Non capita tutti i giorni di vedere né un Paese intero celebrare la vita né un governo intero schierarsi senza mezzi termini a favore della vita.
Sì, un Paese intero. Un Paese intero anche se non tutti sono stati d’accordo. Infatti, proprio mentre il governo guatemalteco celebrava la vita in maniera così encomiabile e giustamente spavalda, altri protestavano fuori dal Palazzo della cultura dove avveniva la cerimonia, urlavano per le strade e insozzavano i muri con scritte ingiuriose e blasfeme, chiese comprese. Eppure sì, a celebrare è stato davvero un Paese intero. Perché? Anzitutto perché a celebrare la vita è stato un governo, un governo intero, eletto democraticamente dai cittadini guatemaltechi, e dunque certamente rappresentante del Paese per intero. Ma questo è solo l’aspetto legale della questione. L’aspetto morale dice in più che è ai maiores che si deve sempre guardare per comprendere lo standard. Per comprendere la grandezza dell’umano al meglio non si guarda a Stalin, Adolf Hitler o Mao Zedong: si guarda Jérôme Lejeune, Michalengelo, Dante, Gesù Cristo. Così, per comprendere appieno la nazione guatemalteca si guarda volentieri a quella sua classe politica, che, unica al mondo, guida un Paese alla difesa pubblica e proattiva di un bene non negoziabile e indisponibile, al di là di ogni opinione e giudizio, qual è la vita umana nascente.
Dunque questo Paese intero difende la vita: c’è al mondo nostro, piagato e piegato, un Paese intero che difende la vita. Brian, Rob e io non nasciamo sotto il cavolo, non dormiamo all’umido e non siamo nati ieri. Qualche cosa nella vita l’abbiamo veduta. Ma più volte nei giorni trascorsi a Ciudad de Guatemala a celebrare la normalità eroica della vita nascente ci siamo sorpresi, dati di gomito e forse persino commossi nel vedere il presidente della repubblica Giammattei, il vicepresidente del Congresso (l’organo istituzionale unicamerale che là detiene il potere legislativo) Shirley Rivera Zaldaña e ministri e deputati annunciare profeticamente, più e più volte, la sacralità della vita umana, la sovranità intangibile della famiglia, addirittura la fede cristiana benedettamente mista alla politica, persino il pentimento… Intonare inni e pregare in pubblico in quelle che sono state sempre manifestazioni nobilmente laiche, cioè libere, e addirittura aperte (il nunzio apostolico Francisco Montecillo Padilla, pastori protestanti, responsabili della comunità mormone, imam e rabbini hanno reso omaggio alla vita nascente e al governo guatemalteco che se n’è fatto alfiere).
La proclamazione di Ciudad de Guatemala come capitale della vita di un intero subcontinente è stata il culmine e l’inizio. Il culmine di una scelta cavalleresca e l’inizio del Congreso iberoamericano por la Vida y la Familia, che ha riempito di Sole le giornate dal 10 all’11 marzo. Il presidente della repubblica Giammattei e la vicepresidente del Congresso Rivera sono intervenuti anche lì, assieme, anzi accanto a leader e a rappresentanti e a delegati di organizzazioni pro-life e pro-family da tutto il mondo, letteralmente. Perché la differenza fra le passarelle e l’impegno la fanno la voglia di stare nelle cose e la stamina di scendere fra la gente, mescolandosi fra chi la vita la difende ogni giorno, infarinandosi, embedded.
Così è infatti stato il Congresso: un bagno rigeneratore sia nella filosofia del diritto alla vita sia nella pratica quotidiana di chi la vita talora la salva e comunque la protegge ogni giorno, accudendo le madri abbandonate, sottraendo alla morte i bimbi ancora nel grembo di madri che vivono in Paesi dispotici o totalitari, dando una possibilità concreta al miracolo della vita di esistere, crescere, esserci, fare la differenza.
È così che si fa. E Brian, Rob e il sottoscritto non riusciranno facilmente a togliersi dagli occhi e dal cuore i mille momenti vissuti nell’emozione della vita che si fa politica e della politica che si fa vita, nella stretta di mano con chi immerge le mani anche nel guano per salvare vite, nello scambio di esperienze, nella voglia di lavorare assieme, nell’appuntamento dato non sappiamo ancora né dove né quando ma certamente assieme per la vita, nel “sondaggio dei poveri” che abbiamo condotto ogni qualvolta se ne presentasse l’occasione, con l’autista di Uber e con il vivandiere di street food all’angolo fra la piazza del Palazzo della cultura e una delle vie più malfamate della città, dove case e hotel sono protetti dal filo spinato, con la taverniera che versa la birra nazionale Gallo e il cameriere che sconsiglia il vino locale servendo però una parillada indimenticabile di filetto e gamberoni giganti, con la ricamatrice di stoffe tradizionali lungo le strade della capitale di un tempo, Antigua, e con le dame in costume della bella coreografia allestita per i pro-lifer al Teatro nazionale.
Il Congreso iberamericano por la Vida y la Familia è stata una esperienza grande e un modello certo. Vogliamo imparare, imitare, fare anche noi. Lo faremo, sicuro. Assieme gli amici iberoamericani e assieme agli amici che in tutto il mondo difendono con coraggio, determinazione ma soprattutto gioia la vita e la famiglia. E ancora e sempre affascinanti da quella cosa non comune che è una politica inginocchiata al bene più piccolo e grande di tutta l’avventura umana: un bimbo di meno di nove mesi, tutt’uno con la sua mamma.
Ola Guatemala, gracias: ¡hasta luego! y ¡hasta la victoria siempre!