Giornata per la Vita 2. Se la «kill pill» non ha l’ultima parola

Una mamma salva il proprio bimbo dal mifepristone appena assunto. E diventa pro-life

Madre figlio di spalle

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Non è vero che sia impossibile far cambiare idea ai giovani sull’aborto. Indubbiamente non è un’operazione facile, tuttavia, quando la vita vissuta irrompe negli schemi preconcetti, gli esiti lasciano a bocca aperta. Dagli Stati Uniti d’America, terra di conversioni in ogni campo e in ogni direzione, arriva una storia esemplare. È la vicenda di una giovanissima mamma che, pur sottoponendosi a un aborto, è riuscita a non perdere il proprio bambino.

Si suol dire che il diavolo faccia le pentole, ma non i coperchi. In tal senso l’introduzione dell’aborto chimico negli anni 1990 ha creato un danno inenarrabile, rendendo facile e banale la soppressione di un essere umano. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che le possibilità di sopravvivenza del bambino aggredito dal mifepristone siano discretamente alte. Così è avvenuto a Rita, che, dopo essersi recata in una struttura preposta per abortire, durante il viaggio di ritorno a casa, assieme al fidanzato, si accorge di perdere sangue copiosamente. L’emorragia era così violenta che «gocciolava come un rubinetto che non si chiude», racconta la ragazza a Pregnancy Help News.

Di corsa in ospedale, allora, con trasfusione d’urgenza che durerà tre giorni. «Soffrivo così tanto», spiega Rita, «che mi sembrava come se mi avessero fatto a pezzi le membra interne». Improvvisamente, poi, una luce illumina quel buio: il bambino è ancora vivo. La madre, che, nel profondo del cuore, in realtà non voleva quell’aborto, si prodiga allora per salvarlo. I medici le praticano il trattamento dell’inversione, riuscendo a neutralizzare gli effetti della pillola abortiva. A distanza di circa due anni da quella terribile esperienza, Rita ha scritto su Facebook: «Ora ha 15 mesi ed è il bambino più dolce, più felice e più bello su cui abbia mai posato gli occhi! Dio era veramente con me, e ora capisco perché, mio ​​figlio è la mia più grande benedizione».

Fino a quella disavventura Rita era stata profondamente convinta nell’aborto come “scelta” e sul fatto che il bambino nell’utero non fosse una vita umana. Del resto sua madre aveva abortito due volte e questa mentalità anti-vita assorbiva fortemente la sua famiglia. Oggi Rita rinnega il gesto compiuto ai danni del bambino: «Non avrei mai dovuto togliere la vita a mio figlio. Vederlo qui oggi è una benedizione!».

Bambino salvo nel 68% dei casi

Rita è entrata in contatto con il team di «Abortion Pill Rescue», rete di 800 fornitori di servizi sanitari gestita dall’organizzazione «Heartbeat International», che, in dieci anni, ha salvato più di 1.100 bambini dall’aborto chimico. «Molte donne si pentono quasi subito del loro aborto», spiega Christa Brown, direttrice del settore impatto medico di «Heartbeat International».

Rita aveva assunto soltanto il mifepristone, che destabilizza la gravidanza bloccando i recettori del progesterone. Poi l’aborto vero e proprio avviene con il misoprostolo, che innesca le contrazioni, quindi l’espulsione del bambino concepito. L’intervento dei medici di «Heartbeat International», aggiunge la Brown, ha permesso di salvare anche gravidanze per le quali sembrava non esserci più nulla da fare. Se si interviene in tempo, il bambino può sopravvivere anche dopo un’emorragia particolarmente abbondante.

«Quello che ho scoperto è che la pillola RU486 è molto più sanguinaria e dolorosa di quanto l’industria dell’aborto la rappresenti», ha detto a Pregnancy Help News Laura Klassen, fondatrice dell’organizzazione per la vita Choice42. «Si sente che spesso le donne vengano mandate in ospedale durante il processo abortivo a causa di emorragie oppure che debbano andarvi dopo settimane per sottoporsi a un intervento chirurgico per rimuovere ciò che l’aborto ha lasciato nell’utero».

Il trattamento di inversione della pillola abortiva avviene con l’assunzione di un progesterone bioidentico, come il prometrio, che permette di ristabilire la gravidanza. Lo studio di uno dei medici fondatori di Abortion Pill Rescue riferisce di un 68% di successo in questo tipo di interventi. Condizione necessaria per avviare l’inversione è la presenza del battito cardiaco, ancorché minimo, nel bambino.

«Abortion Pill Rescue dà davvero alle donne la capacità di scegliere», conclude la Brown. «Nessuna donna dovrebbe mai sentirsi pressata a portare a termine una procedura medica che non desidera più».

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