Germania, il ministero della Salute respinge 100 richieste di eutanasia

Ma il 26 febbraio la Corte costituzionale potrebbe allargare le maglie della legge che dal 2015 consente la "buona morte"

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Last updated on Febbraio 15th, 2020 at 12:18 am

Il ministero tedesco della Salute ha respinto oltre 100 richieste di eutanasia giunte dall’Istituto federale per i farmaci e i prodotti medici. Secondo quanto riporta Der Tagesspiegel, il quotidiano tedesco più venduto a Berlino, si tratterebbe di 102 richieste avanzate da malati gravi. Ci sono poi altri 31 casi per i quali è ancora aperta la valutazione per decidere se approvare o rifiutare l’eutanasia. Intanto, 24 persone in attesa di un verdetto sono già morte.

Titolare del Ministero è Jens Spahn, della CDU, l’Unione Cristiano-Democratica di Germania, che per questo è da settimane sotto attacco. Nel 2017, infatti, una sentenza della Cassazione aveva deciso che l’accesso a medicinali in grado di indurre l’eutanasia «in situazioni estreme e straordinarie» non potesse essere negato. Ogni caso però deve essere valutato singolarmente dal Ministero. Cresce l’attesa per un pronunciamento da parte dell’Alta Corte costituzionale, atteso per il 26 febbraio prossimo. Il tribunale amministrativo di Colonia è intanto intervenuto per chiedere a Spahn di procedere in modo più trasparente.

Ma come affronta l’eutanasia la legislazione tedesca? La formula utilizzata dalla Corte di Cassazione nel 2017, «accesso a farmaci per eutanasia in situazioni estreme e straordinarie», si è mossa sulla scia dalla legge approvata nel novembre 2015 dal Bundestag, il parlamento, che già ammetteva l’eutanasia. Una sentenza dunque, che esattamente due anni dopo l’approvazione, andava ad ampliare le maglie della legge vigente, a propria volta preceduta da un pronunciamento della Corte costituzionale federale, del 25 giugno 2010, che apriva all’eutanasia. Ora, la legge del 2015 ammette l’eutanasia «altruistica». In parole semplici, a richiedere l’eutanasia può essere solamente un paziente maggiorenne, in grado di intendere e di volere, affetto da malattia terminale. Maglie allargabili, però, grazie al testamento biologico. Già legale in Germania dal 18 giugno 2009, consente di rifiutare qualsiasi trattamento medico anche in caso di malattia non terminale. Ed equipara la nutrizione e l’idratazione artificiale a trattamenti medici, motivo per cui anche queste possono essere rifiutate dal paziente. In assenza di dichiarazioni anticipate di trattamento scritte spetta al tutore «appurare i desideri riguardo ai trattamenti o la volontà presunta del suo assistito e decidere di conseguenza se dare o negare il consenso ai trattamenti medici». Il medico può indurre la morte solo per motivi «altruistici» e non di business: in teoria, cioè, solo per alleviare le sofferenze del paziente.

Lo spettro di morte sempre vivo dell’Aktion T4

Il pronunciamento atteso per il 26 febbraio potrebbe però allargare ulteriormente le maglie di una legge che già aveva suscitato polemiche vivaci. La prima voce ad alzarsi nei giorni precedenti l’approvazione era stata quella del Consiglio centrale degli ebrei di Germania che, attraverso il presidente Josef Schuster, aveva evidenziato un pericoloso slittamento verso l’eutanasia come «alternativa alle cure per i pazienti che stanno morendo», aggiungendo poi che «le persone anziane e gravemente malate non dovrebbero essere spinte a commettere suicidio». Sono molti infatti gli interrogativi che si aprono nel momento in cui cagionare la morte viene considerato dallo Stato un atto altruistico. A maggior ragione se ciò avviene in Germania. Alla base di tutto c’è un assunto: «vita non degna di essere vissuta». Non degna di ricevere cure, non degna di essere difesa, non degna di vedere stanziati fondi per la ricerca sulle cure palliative e sull’assistenza alle famiglie coinvolte. Vale la pena fare un veloce salto indietro nel tempo, tornare al 6 febbraio 1943. Il dottor Ernst Illing (1904-1946), psichiatra responsabile di un ospedale del Terzo Reich, scrive una lettera ai genitori di un giovanissimo paziente ricoverato nel suo reparto. «Devo comunicarvi il mio rammarico nell’informarvi», dice, «che il bambino è morto il 22 gennaio 1943 per infiammazione delle vie respiratorie. Non aveva fatto alcun tipo di progresso durante il suo soggiorno qui. Il bambino non sarebbe certamente mai diventato utile alla società e avrebbe anzi avuto bisogno di cure per tutta la vita. Siate confortati dal fatto che il vostro bambino ha avuto una dolce morte». Non si conosce il nome di questo bambino, ma la sua era una «vita indegna di essere vissuta» (lebensunwertes Leben). E, come la sua, oltre 200mila vite indegne sono rientrate nel famigerato AktionT4, il programma dell’eutanasia nazionalsocialista.

Chi tutela la volontà dei pazienti soli?

Oggi, quasi ottant’anni dopo, lo Stato decide di agire in favor mortis e non più in favor vitae, e la morte diviene scelta compassionevole per il malato. Ma lo Stato come decide quando l’eutanasia non è praticata per un ritorno economico? Un guadagno per il medico, un risparmio sul bilancio di un ospedale, una spesa in meno per la sanità tedesca? Quanto è libera e consapevole la volontà di un paziente affetto da una malattia terminale? Chi tutela la volontà dei pazienti soli, senza parenti che si prendano cura di loro, delle persone con disabilità, di chi non è più in grado di esprimersi? I casi di Charlie Gard (2016-2017), Alfie Evans (2016-2018) e Vincent Lambert (1976-2019) raccontano poi che, se una vita non è più considerata degna di essere vissuta, si arriva facilmente a imporre l’eutanasia anche in caso di contrarietà dei genitori, anche con l’opposizione dei parenti più stretti.

In Germania hanno intanto parlato anche i vescovi tedeschi, in occasione del sinodo, affermando: «Gli operatori pastorali hanno il dovere di lasciare fisicamente la stanza dell’aspirante suicida nel momento in cui assume la sostanza letale». Non certo abbandonando il malato, accanto al quale gli operatori pastorali sono chiamati a restare soprattutto nelle fasi più difficili della malattia, ma per dare un segnale chiaro e netto: «La Chiesa vuole testimoniare di essere sempre a favore della vita».

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