Last updated on aprile 17th, 2020 at 01:16 am
Pubblichiamo la versione italiana del testo per gentile concessione di Family International Monitor
Ad uno sguardo complessivo, per i figli di famiglie numerose dover e poter fare i conti con i propri fratelli è una preziosa potenzialità: in primo luogo li aiuta (e costringe) a fare i conti con altri, ma anche ad imparare presto a poter/dover chiedere (e dare) aiuto, a contrattare, a capire che “non si vive da soli” (nel bene e nel male); inoltre consente di poter pensare un proprio futuro in cui alcuni volti ci saranno sicuramente (i fratelli), in modo molto più affidabile rispetto agli altri legami.
Una recente indagine svolta in Italia nel 2018 ha approfondito il valore dell’«educazione orizzontale» tra fratelli e sorelle, per verificare se e quanto l’esperienza quotidiana tra fratelli e sorelle sia un valore aggiunto, rispetto alla situazione dei figli unici, condizione familiare sempre più presente in Italia e in buona parte dei Paesi ad elevata modernizzazione.
Riportiamo qui alcune riflessioni conclusive di sintesi.
1) Le differenze tra figli unici e figli di famiglie numerose ci sono, ma sono più complesse ed articolate di una correlazione secca tra numero di membri della famiglia e disponibilità pro sociali. Ad esempio, i figli unici presentano una spiccata consapevolezza (che a volte diventa anche timore) che li aspetta, in un prossimo futuro, un compito di cura verso i propri genitori anziani da cui difficilmente potranno sfuggire, e del quale sembrano anche non voler sfuggire. E sanno bene che non potranno condividerlo con altri, come invece sanno di poter fare i figli di famiglie numerose (siamo in tanti fratelli, sapremo aiutarci nell’aiutarli…).
2) D’altro canto, dall’indagine è emersa con forza la centralità della dimensione generazionale, che caratterizza la storia dei giovani adulti qui interpellati in modo molto più decisivo di qualsiasi altra caratteristica strutturale: in altri termini, avere tra i venti e i trent’anni nel 2018 costituisce un fattore decisivo che caratterizza le personalità e le traiettorie di vita di questa generazione, molto più delle differenze di status socio-economico, di area geografica di residenza, e anche di struttura familiare.
3) Un fattore di omogeneità non marginale riguarda la ricchezza di reti relazionali raccontata dagli intervistati. Questa generazione si rappresenta “ricca di relazioni significative”: potrebbe essere un dato che consente qualche speranza, in una società sempre più individualista, e che tenta di spezzare i legami, più che di rinsaldarli; oppure bisognerebbe andare a fondo di queste relazioni, per verificare quante siano davvero “solide”; oppure, ancora, domandarsi se il mondo dei legami possa funzionare in questa età, finché non si diventa “adulti”, a casa propria, con proprie responsabilità autonome, davanti alle quali “il cuore si inaridisce”, gli amici contano sempre di meno, e alla fine ci si ritrova molto più soli di quanto si sia pensato (o si pensi di essere) tra i venti e i trent’anni.
4) Questo non significa che non ci siano differenze che fanno la differenza; nessuna di esse, però, basta a spiegare la diversità delle traiettorie di vita dei giovani qui ascoltati. Ad esempio, essere maschi o femmine porta con sé forti differenze, sia nelle prospettive di vita futura, sia nel modo in cui si vive da figli (e tra fratelli), ed è tuttora molto presente un gioco stereotipato di ruoli sessuali, per cui le figlie femmine hanno comunque un mandato di cura, di impegno domestico, di ruolo familiare ben più forti dei coetanei/fratelli maschi. Oppure, altra differenza rilevante, essere primogeniti, ultimogeniti o “mezzani” genera dinamiche e processi di crescita molto differenti, ad esempio sul tema della responsabilità, dell’autonomia, della capacità di problem solving.
5) Peraltro, tra i giovani nati in famiglie numerose si possono riscontrare diverse caratteristiche specifiche, legate in modo diretto alla condizione familiare: in particolare emerge il tema della “precoce autonomia”, di una significativa capacità (e voglia) di uscire in fretta da casa, di avere presto spazi di responsabilizzazione e di libertà di scelta (magari finalmente una stanza/casa tutta per sé, da non dover condividere). Questo spinge/consente a questi ragazzi una socializzazione anticipata, spesso ingressi rapidi nel mondo del lavoro, e anche matrimoni e nascite di figli molto prima dei valori medi dei propri coetanei.
6) È più probabile ritrovare comportamenti pro sociali e solidaristici tra i figli di famiglie numerose (partecipazione a volontariato, organi partecipativi nella scuola, capacità di scambiare aiuto con gli amici), ma non sono pochi i figli unici che si implicano in tali attività, così come, all’estremo opposto, non tutti i figli di famiglie numerose sono “pro sociali”, fuori della propria famiglia.
7) Un ultimo nodo di oggettiva differenziazione emerge dalla ricerca, nel confronto tra figli unici e figli di famiglie numerose; la presenza, per chi appartiene ad una famiglia numerosa, di una oggettiva maggiore risorsa di relazioni e di legami stretti, dentro la famiglia, con i propri fratelli, difficilmente sostituibile al di fuori della famiglia ristretta, e che consente di pensarsi e di vivere beneficiando di un capitale relazionale sicuramente più solido.
Nel complesso, dall’indagine viene confermata la centralità dell’esperienza familiare nell’educazione, nel costruire la personalità e le opportunità delle nuove generazioni nel loro percorso verso la condizione adulta: senza pretese di onnipotenza, perché sono tanti, oltre alla famiglia, i soggetti che possono contribuire alla crescita delle persone, ma anche con un rinnovato senso di responsabilità, per le famiglie stesse. Perché quello che si vive in famiglia diventa davvero seminarium rei publicae, palestra per educarsi a diventare cittadini responsabili e fertili, capaci di generare bene comune. E la società oggi ha un immenso bisogno di riscoprire i luoghi capaci di educare i cittadini di domani.