Last updated on Settembre 8th, 2020 at 06:00 am
La notizia è stata data da The Telegraph il 25 agosto, per poi rimbalzare su numerosi media del Regno Unito, ma è talmente complicata che necessita una spiegazione.
Ellie Anderson, scozzese, sedici anni, giovane transgender nato maschio ma che sin dall’età di tre anni si percepiva femmina, è deceduto in luglio per una malattia insorta improvvisamente.
Ellie aveva intenzione di sottoporsi a interventi per la riassegnazione di genere entro i 18 anni e, consapevole che i trattamenti ormonali connessi con la chirurgia avrebbero comportato la sterilità, azzerando per lui la possibilità di avere figli biologici, aveva provveduto a far prelevare e quindi congelare alcuni campioni del proprio sperma per il futuro.
Adesso la madre di Ellie, Louise, pretende che i giudici della Court of Session, il tribunale di Edimburgo, impongano ai medici della Glasgow Royal Infirmary Fertility Clinic di non distruggere i campioni di seme del figlio che hanno in custodia, come prevede la legge, poiché intende utilizzarli, insieme a ovociti di una donatrice e a una madre surrogata, per ottenere dei nipoti.
Sul punto la legge scozzese è regolata dallo Human Fertilisation and Embryology Act del 2008, che emendava il provvedimento precedente del 1990, il tema è supervisionato dalla Human Fertilisation and Embryology Authority e la questione prevede che la fecondazione post mortem possa effettivamente essere richiesta dal partner di una persona deceduta.
Ciò vale anche, per esempio, negli Stati Uniti d’America e, se come sembra la legge sulla Bioetica passerà al secondo vaglio del Senato, pure in Francia.
Dal partner, però, non dalla madre.
La richiesta di questa donna salta a piè pari, addirittura, l’aggrovigliata questione del sesso e del genere, per presentare risvolti ancora più drammatici. Louise Anderson vuole nipoti biologici “nati” da Ellie, pertanto è suo diritto averli e pertanto li avrà. Questa la logica perversa che si intravvede al di sotto di quello che chiunque riconoscerebbe come il dolore più straziante per una madre, la perdita di un figlio bambino o adolescente.
Si tratta di quella che il mondo chiama “dittatura del desiderio” ‒ voglio dunque posso ‒, ma che sarebbe preferibile definire “dittatura della preferenza”, poiché il desiderio è il cuore dell’uomo, il riconoscimento di un bene assente, laddove invece la preferenza è l’opinione ondivaga, la voglia legata a uno stato d’animo magari momentaneo di chiunque.
Anzi, forse la definizione migliore va ancora oltre e con un cortocircuito logico, di quelli abituali in casi simili, è più corretto usare le parole “dittatura della pretesa”: non importa quanto costa o chi pagherà.
Ma non è finita, perché, pur senza “dietrologie”, un particolare colpisce nella vicenda: l’avvocato Virgil Crawford, il legale della signora Anderson, ha definito il caso un «[…] unusual, interesting, important and complex legal issue», vale a dire una questione legale insolita, interessante, importante e complessa.
Ora, non vi è dubbio che lo sia, e che il legale intenda sfruttarne tutta la potenza di fuoco anche mediatica comparendo bene in vista, tanto più che, se non dovesse vincere la causa in favore della propria assistita, la speranza è che il tribunale si esprima a favore della necessità di modificare la legge esistente: un risvolto non da poco.
Tanto è vero che lo Scottish Family Party ha dato spazio alla notizia sui propri profili social, raccogliendo pareri, come immaginabile, molto duri.
Sui media la madre definisce Ellie «una ragazza fantastica e vivace, con tutta la vita davanti a sé». Purtroppo, però, in questo come in altri casi, la pretesa dell’uomo non piega la realtà.