Detenute trans e detenute incinte: «cherchez la femme»

In una prigione statunitense femminile che ospita maschi che si identificano come donne due detenute restano incinte. Il cortocircuito è servito

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C’è una prigione femminile a Clinton, nel New Jersey, Stati Uniti d’America. Si chiama «Edna Mahan Correctional Facility for Women» e ospita più di 800 detenute donne. Ospita anche, da circa un anno, da quando cioè la legge di quello Stato nordamericano lo permette, anche poco meno di 30 maschi che però si percepiscono e si dichiarano femmine.

Ora, due detenute femmine, né potrebbe essere altrimenti, sono incinte. I media locali affermano che si sarebbe trattato di rapporti volontari, non si sa se con uno o più dei detenuti, ovviamente, evidentemente maschi, e questo a tutti gli effetti e da ogni punto di vista, i quali si dichiarano però donne e che per questo condividono spazi e attività con le detenute femmine.

La battaglia giuridica per consentire ai detenuti maschi che si sentono femmine e che però non si siano sottoposti a un percorso di «transizione» chirurgica di autoidentificarsi appunto come donne e pertanto di stare nelle carceri femminili prevede che, fin dal primo manifestarsi della “nuova identità”, il personale carcerario sia tenuto a utilizzare i pronomi “preferiti” da ciascun detenuto/a e a fornire gli indumenti e la biancheria intima richiesti ai carcerati che si identificano nel sesso opposto.

Prevede anche che siano assicurati ormoni sessuali incrociati e interventi chirurgici di «transizione» di genere, quando questo sia ritenuto «appropriato dal punto di vista medico».

Inoltre, come riporta il quotidiano britannico Daily Mail, «altre tutele includono l’alloggio in celle singole mentre vengono prese le decisioni finali sulla destinazione abitativa, la possibilità di fare la doccia separatamente dagli altri detenuti, il diritto di avere parte attiva nelle decisioni sull’alloggio e di appellarsi contro tali decisioni, infine il divieto di esami fisici per determinare lo “stato genitale” di un detenuto».

Tutte tutele che si immaginano necessarie per garantire la sicurezza e la salute di queste persone: maschi che si sentono femmine, ma che appunto non lo sono e non lo possono essere. E per gli altri? Anzi, per le altre? Per le detenute donne davvero? E per i bambini che le detenute donne potrebbero concepire, e appunto concepiscono, al netto di ogni altra considerazione sul sesso casuale e sui regolamenti carcerari?

Il cortocircuito è talmente evidente che a cercare di spiegarlo ci si ingarbuglia. Però ne vale la pena. Un criminale uomo si dichiara donna. Arrestato e condannato, viene per questo ospitato in un carcere femminile, al pari e assieme a criminali detenute donne come vuole la legge del New Jersey. Dietro le sbarre, prova ovviamente, evidentemente pulsioni sessuali maschili e ha rapporti con una o più detenute donne. Almeno una di loro rimane incinta.

Quindi, infine, quell’uomo che si diceva donna in realtà donna non lo è mai stato ed è proprio esattamente e null’altro che un uomo. E quindi un carcere femminile non è affatto il luogo in cui deve trovarsi. Non vi è altro da dire.

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