Last updated on Gennaio 15th, 2021 at 08:10 am
Per quell’indole che alcuni scambiano per snobismo (di solito uno vede quel che ha già negli occhi), l’ultimo dell’anno e il Capodanno seguente non hanno mai goduto del mio trasporto. Non sono infatti mai riuscito a capire cosa cambi tra l’oggi e il domani, quanto a peso specifico, nella vita di una persona. Ogni giorno è sempre l’ultimo e sempre il primo. Dunque perché farsi irretire scaramanticamente, superstiziosamente dalle convenzioni del calendario?
Al contempo so perfettamente che le convenzioni, comprese quelle del calendario, hanno la propria importanza, e pure grossa. Dunque le rispetto, con quella che potrebbe pure essere definita devozione.
In tempi appena più civili dei nostri l’ultimo giorno dell’anno si prese a intonare un canto di ringraziamento a Chi nella vita ci ha posti senza chiedere (fortunatamente) il nostro permesso, per tutti i doni ricevuti e per quelli mancati, per le preghiere esaudite e per quelle non esaudite (che talora è molto, molto meglio). Del resto in quei tempi più civili l’inizio dell’anno nuovo era marcato dalla nascita di Colui a cui si cantava il Te Deum, ovvero dal giorno di Natale, il giorno in cui la storia inizia, compresa quella che lo precede, e in cui tutto si ricapitola.
Ora nei nostri tempi meno civili capita di imbattersi in pensieri profondi persino grazie alla pubblicità di un noto supermercato italiano. «Non lasciare che finisca il giorno senza essere cresciuto un po’, senza essere stato felice, senza avere incrementato i tuoi sogni». Sono versi di Carpe diem del poeta statunitense Walt Whitman (1819-1892) infilati fra un cotechino e un cappelletto.
Non occorre essere fan del naturalismo e dell’umanesimo affettato di Whitman per restare fulminati da quel suo pensiero dove a incantare non è la retorica scontata sui «sogni» (con la frescaccia dei «sogni» cercano da sempre di farci inghiottire ogni abuso e vizio, come quando si dice «se si vogliono bene…») e sulla «felicità» (con la frescaccia della «felicità» cercano da sempre di farci inghiottire ogni abuso e vizio, come quando si dice «se c’è la salute…»), bensì quella versione profonda, anche laica, dell’esame di coscienza che è il «non lasciare che finisca il giorno senza essere cresciuto un po’».
La differenza fra Peter Pan e il fanciullo che deve continuare ad abitare dentro un adulto è proprio la capacità di crescere sempre un tantino senza perdersi mai. E non è scontato.
Se quindi domani, primo giorno dell’anno nuovo 2021 per convenzione sarà un dì in cui potremo, a sera, non convenzionalmente dire di essere diventati un pochino più grandi, e se il dì seguente pure, e poi ancora, e ancora, e ancora, per sempre, allora avremo condotto, nel nostro piccolo, nel nostro piccolino, quella vita che, come dice Socrate (470/469-399 a.C.) nell’Apologia (38a) di Platone (428/427-348/347 a.C.), se non è esaminata non vale la pena di essere vissuta. Non so come meglio augurare a tutti gli amici e lettori di “iFamNews” di rinascere ogni dì un poco più uomini oggi in cui il 2020 muore.