Per openDemocracy dissuadere dall’aborto e fare «disinformazione» sono sinonimi. Nei think tank di George Soros, l’allarme e la preoccupazione raggiungono livelli inimmaginabili quando i pro-life prendono piede in Africa. Il continente nero è terreno vergine e fertile da dissodare, con una popolazione vista come facilmente indottrinabile, disorientata, quindi permeabile ai modelli educativi occidentali.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è precipitata in Costa d’Avorio, dove un senatore avrebbe segnalato a openDemocracy la presenza di un «centro per gravidanze critiche», ovvero una sorta di centro di aiuto alla vita, collegato ad una onlus statunitense, dotata di strutture corrispettive in 18 paesi del mondo, compresi alcuni Stati dell’Africa occidentale francofona, tra cui Camerun, Togo e, per l’appunto, Costa d’Avorio.
OpenDemocracy menziona in particolare il centro Étoile du Matin ad Abidjan, la città più popolosa del Paese, che, a detta dei sorosiani, avrebbe «fornito informazioni errate sulle leggi e sui fatti medici relativi all’aborto». Mentre, ufficialmente, sulla propria pagina Facebook, il centro offrirebbe semplicemente «consigli» alle donne incinte, openDemocracy avrebbe “smascherato” un consulente che avrebbe usato la «disinformazione» e la «manipolazione emotiva» per dissuadere una giovane donna dall’aborto.
Le argomentazioni contro i pro-life sono però piuttosto risibili: in Costa d’Avorio, afferma openDemocracy, è effettivamente legale solo in caso di stupro e comunque sanzionabile con pene molto più leggere rispetto all’omicidio. La donna che lo commette può scontare fino a un massimo di due anni di carcere e multe fino ai 516 dollari.
Poiché in Costa d’Avorio l’omicidio tout court è punito anche con l’ergastolo, la visione legalista di openDemocracy arriva a rifiutare l’idea che un pro-life possa chiamare «omicidio» anche l’aborto. Stesso discorso per la contraccezione: se essa è legale, il solo fatto che un consultorio possa scoraggiarla, equivale a offrire «opinioni fuorvianti».
Il solito metodo dei giornalisti sotto copertura
Com’è nel suo costume, openDemocracy ha cercato di sguinzagliare una “spia” presso il centro pro-life. Si è trattato di una giornalista che, dichiarandosi fittiziamente incinta a seguito di uno stupro, si sarebbe sentita rispondere che avrebbe potuto ricevere un sostegno finanziario dal centro, prospettandole quindi la possibilità di perdonare il suo stupratore, quindi, eventualmente, di ricevere soldi anche da lui.
Quando la giornalista ha ricordato al volontario che in Costa d’Avorio l’aborto è consentito in caso di stupro, le è stato detto che, se avesse abortito, la polizia avrebbe comunque potuto arrestarla, per aver «ucciso un essere umano».
Quello che però openDemocracy omette di dire in questo passaggio è che, nel Paese africano, per abortire, una donna deve prima dimostrare in sede processuale di essere stata violentata: un particolare che è stato forse discusso nel colloquio tra il volontario di Étoile du Matin e la giornalista sotto copertura ma che openDemocracy potrebbe aver omesso dal contesto.
Il volontario ha infine ricordato alla giornalista che «le donne possono affrontare problemi psicologici dopo aver abortito». Secondo openDemocracy, egli non avrebbe «fornito alcuna prova». Rimane il fatto che la sindrome post-aborto esiste realmente e provoca danni incalcolabili alla salute delle donne, a prescindere se nei consultori venga illustrata o meno la letteratura scientifica a riguardo.
Aborto illegale: per qualcuno è un problema
Secondo quanto riportato da openDemocracy, Étoile du Matin è affiliata a Heartbeat International (già nel mirino dei sorosiani), i cui consultori sono presenti in 18 paesi, ma anche all’Association for Life of Africa, il cui obiettivo è quello di creare una rete regionale per promuovere alternative all’aborto. Heartbeat International in particolare avrebbe speso più di 48mila dollari in Zambia.
Tutti dati “preoccupanti” che avrebbero indotto il senatore ivoriano Mamadou Kano ad auspicare un’indagine da parte del governo per scoprire «cosa davvero accade in questo centro».
Altri attivisti pro-aborto, come Nènè Fofana-Cissé, direttore regionale per l’Africa occidentale e centrale di EngenderHealth, accusano Étoile du Matin di «spaventare o colpevolizzare le donne» che vogliono abortire, in un paese in cui «gli aborti clandestini sono una delle principali cause della mortalità materna».
Nel 2011, la Costa d’Avorio ha ratificato il Protocollo di Maputo, in forza del quale gli Stati africani firmatari si impegnano a consentire l’aborto in caso di stupro o incesto o se la gravidanza mette in pericolo la vita della madre o anche solo la sua salute fisica e mentale.
La legge ivoriana, però, è rimasta inalterata e, al momento, permette l’aborto solo in caso di stupro, solo però dopo averlo dimostrato in tribunale. Il che può richiedere anche uno o due anni.
Ancora una volta, dunque, openDemocracy ha usato il dossieraggio, la manipolazione e la suggestione per mettere in cattiva luce i suoi avversari. Lo stesso metodo utilizzato nei Paesi occidentali, a partire dal Regno Unito. Altro che “democrazia aperta” e libera discussione…