Last updated on Gennaio 12th, 2022 at 02:52 pm
Rachele Sagramoso, ostetrica, madre di sette figli, gestisce un blog personale e uno professionale e scrive, fra gli altri, per «iFamNews». Ha curato l’edizione italiana di un volume dedicato al corpo e alla sessualità femminili, uscito in novembre, dal titolo Tesori femminili. Un nuovo sguardo sul corpo della donna dalla pubertà alla menopausa, dell’ostetrica francese Cécile de Williencourt.
Dichiaratamente pro-life, appassionata del proprio mestiere e curiosa di tutto quanto riguardi la donna e la sua sessualità, la femminilità, i metodi naturali di regolazione della fertilità e la procreazione, condivide con «iFamNews» alcune osservazioni in materia, privilegiando – opportunamente – lo sguardo della specialista della professione ostetrica.
Rachele, da dove desideri iniziare?
«Le ostetriche hanno la possibilità di superare la visione stereotipata della contraccezione»: quando ho letto queste parole, sulle dispense fornite agli studenti durante i corsi di Ostetricia di un noto ente formativo specializzato, ero ottimista. Non entusiasta, ma speranzosa. Finalmente le ostetriche si sono decise, ho pensato: basta spirali, preservativi e pillole varie! In fondo anche il Center for Disease Control and Prevention (CDC) statunitense ha dichiarato che i metodi naturali funzionano. Quando lo sguardo è sceso alla frase successiva «e riproporla come consulenza contraccettiva finalizzata al benessere globale», però, mi sono chiesta in quale senso si intendesse.
Ho provato ottimisticamente a riflettere: forse vuol dire che ogni donna è seguita in modo soggettivo, aiutata a conoscere la propria fisiologia, e solo in seguito le si lascia decidere il metodo contraccettivo che la fa sentire meglio. Poi, si sa, il linguaggio del marketing sfrutta sempre parole chiave e nell’ambito della salute “funziona” molto il “benessere globale”, un termine passpartout per intendere la persona nella sua interezza.
Che cosa, poi, ha suscitato la tua attenzione?
In tale “globalità” di tipo olistico, per usare un altro termine di moda, tuttavia, spesso non si fa menzione di una componente essenziale, quella psichica e spirituale.
In alcuni dei corsi di laurea in Ostetricia del nostro Paese, la visione della donna che viene proposta non è affatto globale, ma estremamente stereotipata, basata cioè su un’opinione rigidamente precostituita e generalizzata, non acquisita sulla base di un’esperienza diretta e prescindendo dalla valutazione dei singoli casi.
Un esempio? «La donna non ha alcun sintomo dopo aver usufruito della contraccezione d’emergenza»: questo è ciò che alle giovani studentesse del corso può capitare di ascoltare. In effetti è un luogo comune piuttosto diffuso, anche se persino la giornalista Milena Gabanelli riferisce che con la EllaOne, la cosiddetta «pillola dei 5 giorni dopo», qualche effetto collaterale potrebbe esserci, senza contare che la dottoressa Cristina Cacace, psicologa e psicoterapeuta, riporta conseguenze piuttosto problematiche nel ricorso alla contraccezione d’emergenza, specie in età giovanile. Le sue parole sono esplicite, e pesanti: «Il rischio è che dopo averla assunta una prima volta, dal momento che vengono sollevate dal disagio di doversi attivare per capire come fare per ottenerla, di dover chiedere al medico la prescrizione, queste ragazzine inconsapevoli tendano a farlo ogni volta che ne ravvisano la necessità, dissociandosi totalmente da quello che fanno, senza percepirne la gravità. Temo insomma si vadano ad alimentare forme di incapacità a rimanere in contatto con la realtà e con il proprio mondo emotivo in virtù di una “normalizzazione”, che in fondo rappresenta il fallimento di tutte le agenzie educative. Comportamenti come questo possono indurre uno scollamento molto marcato tra il proprio mondo emotivo e ciò che si fa. Nel tempo può portare ad attacchi di panico, forme depressive che se non sono pesanti sul piano emotivo come un disturbo da stress post-traumatico, portano però ad un appiattimento totale di tutto il mondo interno. Allontanare certi eventi dalla coscienza, rimuoverne emozioni e stati d’animo accumulandoli nel tempo produce una sorta di “anestetizzazione” generale».
Non lo definirei un ricorso privo di conseguenze.
Sorge allora spontanea una domanda: quale opinione della donna, e soprattutto di una giovane donna, sottende a un approccio di questo tipo?
Per rispondere mi viene in aiuto una delle tante mamme di figlie adolescenti che mi ha contattata per essere rassicurata su come gestire una situazione in realtà piuttosto comune. La ragazza, sedicenne, soffre di dismenorrea, cioè di dolore importante durante la mestruazione, fin dal menarca. Il medico ginecologo le ha prescritto la pillola anticoncezionale. Ora, a parte il fatto che mi pare superficiale considerare un contraccettivo ormonale la panacea per tutti i mali, mi chiedo quale formazione possiedano i medici sulla fisiologia femminile e sullo sviluppo complessivo della persona, e tralascio il racconto dettagliato dell’incontro fra la ragazza, accompagnata dalla madre, e la ginecologa del consultorio, contattata per la prescrizione del farmaco. Totalmente gratuito, come prevede la Regione Toscana.
Tralascio infatti che nonostante la ragazzina preferisse avere accanto la mamma, per un malinteso senso della privacy questa inizialmente sia stata lasciata fuori dallo studio. Tralascio le battute piuttosto crude fatte dalla ginecologa, con una visione dei rapporti sessuali fra adolescenti a metà strada fra la banalità e la rivendicazione. Tralascio pure il tentativo del medico quasi di “sostituirsi” ai genitori impartendo una sorta di placet a eventuali “esperimenti” dei giovani alla scoperta di una cosiddetta libertà sessuale.
Attualmente, comunque, dopo un consulto con un’ostetrica che si occupa di naprotecnologie, la ragazza ha sospeso l’ormone sintetico prescrittole, dopo un approfondimento della fisiologia del ciclo mestruale con una consulente reperita nella città dove risiede la famiglia.
Quali sono, Rachele, le conclusioni che si possono trarre da episodi di questo tipo?
Questo e altri episodi molto simili tra loro, con la “lezioncina” di qualche docente alle future ostetriche, mi inducono a pensare che alla visione antropologica stereotipata che c’è della donna in ambito ostetrico, quasi un essere voglioso e irresponsabile tantoché è meglio evitare che faccia danni anche a costo di somministrare farmaci a un organismo sano, corrisponda un’opinione estremamente parziale della “consulenza contraccettiva”.
Perché usare l’espressione «contraccettivo» e non «fisiologia femminile»? Perché dare per scontato che alle donne occorra una consulenza su quello che bisogna evitare, cioè la gravidanza, e non su quello per cui occorre responsabilità, vale a dire la relazione sessuale?
Non sarebbe auspicabile piuttosto un cambiamento nella visione della “consulenza contraccettiva”, un pensiero del mondo femminile come a una delle due parti del genere umano perfetto nella propria fisiologia, armonioso nella propria particolarità, denso di peculiarità che alcune filosofe, ostetriche, psicoterapeute, hanno descritto in modo ben diverso da come lascia intendere la narrazione comune?
Il benessere “olistico” della donna è fondamentale, ma non riguarda solo la contraccezione. Tutto questo le ostetriche lo sanno?
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