Le recenti parole della ministra Eugenia Roccella (“Un mercato di bambini”, “Connotazioni razziste sulla scelta degli ovociti”) hanno riacceso il dibattito sulla già controversa pratica della maternità surrogata, che si definisce come gravidanza o gestazione per altri (GPA) ed è entrato nel linguaggio comune anche il termine di “utero in affitto”.
La madre surrogata è la donna che ha deciso di portare avanti una gravidanza per conto di persone che, per diversi motivi non sono in grado di concepire o avere figli. Se possibile, per la fecondazione si utilizzano i gameti (quindi ovociti e spermatozoi) della coppia di persone che ha fatto richiesta. Ma è possibile utilizzare gameti di donatori estranei alla coppia stessa e alla donna che porterà avanti la gravidanza oppure ancora utilizzare ovociti della madre surrogata e liquido seminale di quelli che saranno gli aspiranti genitori. Per i bambini concepiti all’estero le coppie eterosessuali presentano un certificato di nascita che attesti che sono state rispettate le procedure dello Stato in cui ci si trova e il funzionario consolare deve accettare gli atti al comune competente, informandolo contestualmente sulle particolari circostanze della nascita, insieme alla Procura della Repubblica. Si trascrive l’atto e la Procura accertato che sia stata rispettata la legge del Paese di provenienza, archivia il procedimento. Per le coppie dello stesso sesso, invece, la trascrizione non è effettuata in modo uniforme. Qella trascrizione è vietata con l’articolo 12, comma 6, che recita: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. In Parlamento, con l’attuale legislatura, è invece iniziato da pochi giorni l’iter di due proposte di legge, di Lega e Fdi, che mirano a dichiarare la pratica un reato perseguibile anche se commesso all’estero.