Last updated on Settembre 3rd, 2020 at 10:31 am
La gametogenesi in vitro (IVG) è un campo emergente della medicina riproduttiva. Umana. Ovvero sino a oggi risultati di un qualche interesse si sono riscontrati negli studi sui topi e in parte sui primati, ma le finalità di tali studi, che vengono condotti da parecchi anni, pur ponendo dubbi notevoli di natura etica, mirano a renderli applicabili agli esseri umani.
Di che cosa si tratta? La gametogenesi in vitro è, in parole semplici, la produzione in provetta di gameti, ovociti e spermatozoi, a partire da cellule staminali pluripotenti, per esempio tratte dal sangue o dall’epidermide, a prescindere dal sesso della persona donatrice. Tali cellule potrebbero poi essere utilizzate per la fecondazione, ugualmente in laboratorio, dell’ovocita, sino a produrre un embrione umano.
Non è dato, ai profani, sapere a quale punto si trovino esattamente le ricerche: basti sapere che, nel 2018, i risultati di uno studio svolto in Giappone, riportati sul periodico Science e ripresi in Italia dall’agenzia stampa AdnKronos, indicavano come grande successo la produzione di oogoni, vale a dire cellule che precorrono le cellule uovo, in una fase molto precoce della follicologenesi.
Per gli spermatozoi si nutrivano speranze rosee, ma ancora nulla di fatto in quel momento. Le femmine, si sa, sono spesso più svelte.
Un articolo recente di Debora L. Spar su The New York Times, ripreso con toni differenti da Christopher Tollefsen sulla pagina del sito Public Discourse, aggiunge alcune implicazioni che vanno prese in considerazione.
Una volta ottenute, le scoperte scientifiche e tecnologiche che combattono e che sconfiggono la malattia e l’infertilità, afferma la Spar, vengono usate sempre, come insegna quanto accaduto a partire dagli anni 1990, a prescindere dalle implicazioni etiche che comportino. Quindi è solo questione di tempo; e di “progresso”.
Lo dimostrano, per esempio, gli embrioni chimera, resi leciti di recente dall’aberrante legge sulla bioetica in via di approvazione definitiva in Francia.
Sempre come esempio, una volta che la pratica venisse dichiarata efficace e “sicura”, con la gametogenesi in vitro potrebbero decidere di procreare due donne, eterosessuali, che so, carissime amiche sin dal liceo, le quali semplicemente non avessero incontrato gli uomini “giusti” con cui mettere al mondo un figlio. Oppure potrebbe farlo una coppia omosessuale. O una donna di mezza età non più fertile. O ancora, grazie a cicli plurimi di IVG, una donna con una storia di malattie ereditarie che volesse evitare al proprio bambino la medesima sofferenza. O un quartetto d’archi, se si volesse esagerare con l’orecchio musicale…
Tutte queste persone sarebbero, dal punto di vista biologico, genitori dei bambini “creati”: non a caso la Spar parla infatti di «genitori fluidi».
Ora, un bambino o una bambina creati a tavolino, senza alcuna necessità di qualcosa che anche lontanamente possa assomigliare a una famiglia, è esattamente il punto cui l’IVG mira, un punto individuato con tanta chirurgica precisione da rendere interessante la faccenda per un movimento culturale e filosofico particolare, ancora non completamente conosciuto in Italia, e meglio noto negli Stati Uniti d’America: il transumanesimo, che si propone di superare i limiti biologici del corpo umano attraverso la tecnologia. Salvo poi, probabilmente, farsi carezzare il capo da una voce registrata al computer o fare sesso con un robot.
Il movimento transumanista viene raccontato diffusamente in un libro del giornalista e critico irlandese Mark O’Connell, Essere una macchina. Un viaggio attraverso cyborg, utopisti, hacker e futurologi per risolvere il modesto problema della morte, il cui titolo già dice molto.
Diventare come Dio: sconfiggere l’orologio biologico, sconfiggere la malattia, sconfiggere la morte.
Sconfiggere la famiglia, in special modo la famiglia naturale. A che serve, infatti, la famiglia, all’uomo nuovo completo, autonomo e invincibile?
Siamo alle soglie di un nuovo salto rivoluzionario.