A Sant’Oreste, un comune della provincia di Roma con poco più di 3.600 anime, il parroco della chiesa San Lorenzo Martire, don Emanuele Moscatelli, si traveste.
Indossata la fascia tricolore, l’11 luglio ha “sposato”, riferisce Adnkronos, due lesbiche. Ma come?, si chiederanno i nostri lettori: un prete non può. Verissimo, e don Moscatelli lo sa così bene che, appunto, per farlo si è travestito. Da sindaco. Siccome le due volevano “sposarsi”, e siccome in chiesa non si può poiché non è fisicamente possibile per la legge morale naturale di cui la Chiesa Cattolica è serva sublime e peccatrice, il “don” ha forzato la mano e si è presentato dalla “sindaca” di questa “Sant’Ilario laziale” (Fabrizio De André) domandando non di “sposare” lei le due, ma di essere lui a sposare le lei.
Ora, ognuno nella vita è libero di fare quel che crede, tanto già ne paga le conseguenze. Ma è pure legittimo domandarsi il senso di un’ammucchiata simile.
Fare il prete non è un obbligo; oggi non va nemmeno di moda, e infatti le vocazioni sono prossime allo zero. Perché allora uno decide di fare il prete? Se un medico prescrive una terapia contraria a quella che guarisce il paziente o se omette di prestare soccorso è colpevole come uomo e come professionista.
Perché dunque uno che fa il prete forca persino tra le gambe del diavolo onde scagliarsi contro il suo stesso essere prete? Spretarsi è un’altra sciagura (perché è impossibile dimettersi da se stessi), ma sarebbe paradossalmente preferibile a ostinarsi a fare il prete facendo il contrario del prete.
L’unione fra due persone dello stesso sesso non è e non può essere matrimonio: non perché lo dica io, ma perché lo affermano la semantica, la realtà delle cose, la natura stessa. Chiamatela come vi pare, ma l’unione fra due uomini o due donne non è e non può essere matrimonio; e, credetemi, non è un’invettiva nominalista.
Ora, se la legge civile sceglie di ignorare la realtà delle cose e “sposa”, con rito proprio, due uomini o due donne, perché mai un prete, che appartiene a un pianeta alieno rispetto a quello che “sposa” due uomini o due donne, dovrebbe abiurare pur di normare l’illecito?
Ebbene un altro prete di rango superiore, che sa cosa vuole dire fare il prete, ha preso don Moscatelli per il collarino (lo porta?), ricordandogli che il prete serve il sacro fuoco di una morale che non fa lui ma alla quale s’inginocchia quotidianamente da quando è stato ordinato. E che se puta caso il “don” volesse fare il sindaco, ci sono le candidature elettorali (vietate però ai preti, per cui delle due l’una), e che se invece vuole fare il pagliaccio, la Chiesa Barnum non abita qui. Ragionamento secco di un laico che non fa una grinza: un qualunque dipartimento di human resource non eccepirebbe uno iota evangelico. Don Moscatelli ora attraverserà «un periodo di riflessione e di verifica». Aspettativa con sospensione dello stipendio e riconsegna del distintivo?