Last updated on marzo 12th, 2020 at 02:53 pm
Il caso del produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein, accusato di molestie e di stupri da decine di donne, è stato sulla prima pagina dei giornali per mesi e mesi. Ora però, con l’epidemia di Covid-19, passa un poco in secondo piano, come tutto il resto. Eppure offre spunti interessanti per osservare come il movimento del #MeToo, partendo da una idea giusta di protezione di persone potenzialmente indifese, possa trasformarsi un’arma pericolosa.
Lo suggerisce il trattamento riservato a Donna Rotunno, l’avvocato di Weinstein.
Ora, Weinstein non è probabilmente una bella persona. Nella propria carriera ha dimostrato arroganza e prepotenza, e non solo con le donne. È dunque probabile che abbia travalicato il confine fra richieste pressanti, e veri e propri abusi. Una sensazione “culturale”, questa, lasciando che la giustizia faccia il proprio corso; se si è davvero reso colpevole di compiuto violenze sessuali, venga dunque senz’altro condannato (come è già stato). Ma bisogna stare attenti che non vengano adoperati argomenti che di per sé non costituiscono reato. E qui torna in ballo l’avvocato del cineasta.
In una intervista televisiva ha detto che, nel comportamento del suo assistito, bisogna distinguere fra i peccati e i crimini, e per questo è stata duramente attaccata dai supporter del movimento #MeToo. L’affermazione è invece perfettamente sensata. Anche se il produttore avesse avuto mille amanti, questo non costituirebbe un crimine. Costituisce certamente un atteggiamento discutibile sul piano morale per chi ritiene sbagliati la promiscuità, l’infedeltà e l’adulterio, persino un peccato per chi crede nel peccato, ma tutto questo va affrontato appunto sul piano morale, o religioso, non da un giudice. Alla richiesta di prestazioni sessuali in cambio di favori per la carriera una persona si può rifiutare, mentre un rapporto sessuale costretto esula dal peccato per entrare nella sfera del crimine. Sono due cose distinte. Non si può fare passare l’idea che le donne siano sempre angeli e gli uomini sempre demoni. Una tale preconcetto è infatti pericoloso perché costituisce un vulnus irreparabile nella relazione tra i sessi. Ci sono donne vittime, vulnerabili, indifese, così come ci sono donne manipolatrici, arriviste e pronte a tutto. Esattamente come ci sono maschi lascivi, maschi predatori e semplici vittime. Non si può trasformare tutti automaticamente in santi o in dannati.
In una intervista al Chicago Magazine, ripresa in italiano al rotocalco Elle, la Rotunno ha detto tra l’altro : «Se andassi nel 18° distretto e dicessi: “John Doe mi ha venduto nove chili di cocaina”, ma poi non avessi la cocaina o i soldi e non ci fosse alcuna prova di una nostra comunicazione, la polizia non mi crederebbe. Ma se entro in una stazione di polizia e dico, “John Doe mi ha violentata”, non mi fanno più domande».
Bene inteso, il problema della violenza sessuale è serissimo, ma anche il problema delle false accuse per ricatto o vendetta è serissimo. Certo, non sarà il caso di Weinstein, ma ci sono tantissimi uomini la cui vita e la cui carriera sono state rovinate per accuse senza fondamento. Perché, se si rimane nello schema di “angeli e demoni”, non c’è scampo, si è colpevoli a prescindere.
Parlando delle donne che si concedono sperando in una carriera migliore, la Rotunno dice: «Divento frustrata quando ascolto questo tipo di testimonianze e sento le donne dire: “Beh, non avevo scelta”. No, avevi una scelta e hai fatto una scelta». Perché, se non c’è violenza, cioè se non c’è un crimine, ci si può sempre rifiutare e perseguire il proprio sogno in un altro modo, con un altro produttore. Oppure smettere, persino cambiare. Sarà triste, tristissimo, ma mai quanto concedersi. Sarà poi il caso di denunciare culturalmente e moralmente la cosa, ma il crimine resta una fattispecie qualitativamente diversa. Oppure… Oppure.
Ovviamente la Rotunno è stata duramente attaccata, perché, in quanto donna, non dovrebbe prendere le difese di un delinquente così. Ma a prescindere dalla sgradevolezza del suo assistito, le sue dichiarazioni non fanno che richiamare un salutare buon senso.