Last updated on aprile 2nd, 2021 at 07:10 am
Il 17 marzo il Senato canadese ha approvato il Bill C-7: una norma che espande il suicidio assistito anche a chi si trovi in uno stato di «sofferenza insopportabile» e non sia vicino al termine naturale della vita. Tale estensione vale anche per le persone con disabilità, compreso chi soffre di una malattia mentale, ma non è malato terminale, facendo avverare ciò che purtroppo era nell’aria. Il risultato è peraltro frutto di una dinamica sempre più ricorrente in alcuni parlamenti del mondo: guardare alle difficoltà dell’uomo non in un’ottica di speranza e cura, ma allargando le possibilità di procurare la morte laddove la sofferenza è ritenuta non compatibile con un malriposto senso di dignità della vita umana.
In Canada il tassello fondamentale che funge da base alla costruzione dei “diritti di morte” risale al 2016, quando, il 7 giugno, il Senato votò a favore della legalizzazione del suicidio assistito, proposta dal governo del premier Justin Trudeau. Già all’epoca le linee guida della Commissione parlamentare incaricata della questione prevedevano la possibilità della morte assistita anche per le persone affette da patologie non terminali e di origine non solo fisica, bensì anche psicologica.
Dopo alcune revisioni, si decise di legalizzare il suicidio assistito “solo” per quegli adulti consenzienti la cui morte fosse «ragionevolmente prevedibile».
Ma non è bastato. Ora i canadesi a cui venga riconosciuto un male insopportabile e i soggetti con disabilità che non siano prossimi alla fine naturale hanno il “diritto” di chiedere assistenza medica per morire. Sono bastati dunque cinque anni perché venisse eliminato il già assurdo e aleatorio criterio della morte «ragionevolmente prevedibile» e questo ha suscitato ovviamente la preoccupazione di moltissimi.
Heidi Janz, docente di Etica nell’Università dell’Alberta di Edmonton e presidente del Comitato etico per il fine vita del Consiglio dei canadesi con disabilità, ella stessa affetta da disabilità, definisce la norma «irresponsabile ed estremamente immorale». Diversi gruppi che lottano per i diritti delle persone con disabilità si sono del resto opposti a questa deriva: il timore di queste persone infatti è di essere messe sotto pressione affinché, direttamente o indirettamente, mettano fine alla propria vita in maniera prematura.
Una preoccupazione legittima, se si considera il messaggio che il governo canadese sta comunicando attraverso questa legge che sbilancia il discorso pubblico a favore della morte. Quale sarà infatti la percezione del valore della propria vita che avranno le nuove generazioni di ragazzi con disabilità? Quale sarà l’accettazione sociale di costoro nel momento in cui il governo suggerisce che il suicidio assistito è una soluzione giusta e morale per essi?