Il Canada, avanguardia della «morte buona» nel mondo, è lo specchio delle intenzioni vere che animano i sostenitori dell’eutanasia: morire costa poco e lo Stato incoraggia a farlo, Ccurarsi è, invece, un lusso da ricchi.
A denunciarlo, tra gli altri, è il settimanale britannico The Spectator, che mette in luce il meccanismo della finestra di Overton manifestatosi alla perfezione in Canada negli ultimi sette anni. All’inizio vi fu una sentenza della Corte Suprema (2015) che annullò il divieto del cosiddetto «suicidio assistito». L’anno dopo il parlamento di Ottawa approvò la prima legge che depenalizzava sistematicamente depenalizzava l’eutanasia, sia pure soltanto per i malati terminali il cui destino di morte era «ragionevolmente prevedibile».
Tempo cinque anni ed è stata approvata un’altra legge, la C-7, che liberalizza ulteriormente i parametri, eliminando il concetto di morte «ragionevolmente prevedibile» e il requisito di «terminale». Oggi, in Canada, può quindi richiedere la «morte assistita» chiunque soffra di una malattia o di una disabilità «che non può essere allievata in condizioni ritenute accettabili».
I canadesi si sono trovati ben presto in un cul de sac: anche chi desidera vivere, si è cioè rassegnato al fatto che, in assenza di disponibilità economiche, è quasi preferibile morire. «Non a caso il Canada ha una delle spese sociali più basse di tutti i Paesi industrializzati», scrive The Spectator, citando dati ufficiali. «Le cure palliative sono accessibili sono a una minoranza e nel settore sanitario i tempi di attesa possono risultare intollerabili», al punto che persino la stessa Corte Suprema che ha legalizzato l’eutanasia nel 2005 aveva definito quei lunghi tempi di attesa una «violazione del diritto alla vita».
Casi da fare accapponare la pelle
Del resto, anche prima dell’approvazione della legge C-7, in campo sanitario «le segnalazioni di abusi erano all’ordine del giorno», sottolinea il quotidiano britannico. Il settimanale segnala per esempio la vicenda di un cittadino affetto da una «malattia neurodegenerativa» che ha testimoniato appunto davanti al parlamento canadese. L’uomo ha dichiarato di avere subito pressioni da parte degli infermieri e del responsabile del comitato etico dell’ospedale, i quali lo avrebbero praticamente minacciato di bancarotta, con costi extra e sottrazione dell’idratazione a suo danno per venti giorni. Pur essendosi ogni associazione per i diritti dei disabili opposta alla nuova legge, il governo ne ha però totalmente ignorato i rilievi.
E una donna dell’Ontario è stata costretta all’eutanasia perché i suoi parametri abitativi non le consentivano il trasferimento in una casa nuova che avrebbero fermato il peggioramento delle allergie di cui soffriva. Un’altra paziente disabile ha chiesto di morire perché semplicemente non poteva «permettersi di continuare a vivere». Un’altra ha chiesto l’eutanasia perché il debito contratto dopo essersi ammalata di CoViD le ha impedito di pagare il trattamento che ne aveva alleviati i dolori. Il governo attuale ha stanziato 600 dollari canadesi in assistenza aggiuntiva per ciascuno disabile, mentre gli studenti universitari ne hanno ricevuti ben 5mila.
La famiglia di un disabile trentacinquenne che ha fatto ricorso all’eutanasia ha riferito che, quando i parenti sono andati a trovare il malato nella casa di cura dove questi era ricoverato, hanno trovato «urina» e persino «feci sul pavimento». Ma se è vero che il governo canadese, con la cosiddetta «morte assistita», dovrebbe, in teoria, concedere la massima «autonomia individuale» ai pazienti, sorge spontaneo chiedersi quanta autonomia potesse avere un uomo costretto a vivere nella sporcizia nel prendere una decisione sulla propria vita o sulla propria morte.
Deriva incontrollabile
Insomma, se mai ci fosse bisogno di ribadirlo, dietro la retorica ipocrita e vuota dell’«autodeterminazione del paziente» si celano solo squallide spending review sanitarie. Già prima dell’entrata in vigore della legge C-7 un rapporto del parlamento aveva calcolato che, con la normativa precedente, la Sanità canadese risparmiava 86,9 milioni di dollari all’anno: risparmio che però con la C-7 aumentava di altri 62 milioni l’anno. Ogni «suicidio assistito», invece, costerebbe al contribuente “soltanto” 2.327 dollari. Il tutto nell’indifferenza generalizzata del sistema sanitario e dei media, mentre ormai sembra spianata la strada per l’eutanasia dei malati mentali e, come auspica qualcuno, per i «minori maturi».
Sì, perché la cultura di morte non si accontenta di piccole concessioni: pretende ogni volta sempre di più.