Bonetti: dare fiducia alle famiglie. Capiamoci però

I dati ISTAT sulla denatalità preoccupano e aprono nuove ipotesi di lavoro. Il solito vecchio statalismo, comunque, non paga

Una carrozzina dismessa rottamata

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Neppure al ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità, Elena Bonetti, sono sfuggiti gli allarmanti dati ISTAT che descrivono impietosamente l’Italia come un Paese che sta morendo: ennesimo record negativo delle nascite, calo dei cittadini italiani, stillicidio di emigranti, aumento del divario tra nascite e decessi, innalzamento dell’età media. Ecco la sua reazione, affidata a una intervista rilasciata a la Repubblica, dove afferma: «La denatalità è il segnale drammatico della mancanza di speranza e quando manca la speranza bisogna dare fiducia e prospettive con politiche non solo assistenziali e in un progetto organico». Un’affermazione decisamente da sottoscrivere: per mettere al mondo un figlio non c’è bisogno soltanto di una buona “dotazione economica”. Alle nuove generazioni sono affidati «il futuro e tenuta sociale del Paese»: laddove il futuro appare incerto e la tenuta sociale traballante, non si trovano motivazioni per generare figli. Di fronte alla «mancanza di speranza personale e collettiva che si sta consolidando in Italia» il ministro propone allora il Familiy Act come misura in grado di mettere in atto un «cambio di tendenza significativo».

Assegno universale dalla nascita alla maggiore età


Anticipato nella legge di bilancio, che ne ha tracciato la strada, il Family Act dovrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) «non una misura, ma un sistema organico e coerente di misure che possano attivare un processo positivo di crescita per contrastare la recessione demografica». Scendendo nel concreto, il ministro promette «l’assegno universale per tutti i figli dalla nascita all’età adulta» per il gennaio 2021 . Senza sbilanciarsi sulle cifre (si parla di somme che variano dai 100 ai 250 euro mensili per figlio, da definirsi in base al reddito della famiglia), perché «sarà il ministero dell’Economia a fare i conti», resta la certezza che queste entrate non saranno tassate, proprio in quanto «incentivo a valorizzare ogni figlio in quanto cittadino di cui ci dobbiamo prendere cura». Si parla inoltre di un «riconoscimento delle spese educative. Le famiglie investono risorse per l’educazione dei figli e questo è un valore. Le spese vanno rimborsate o defiscalizzate». Non par vero sentire queste parole uscire dalla bocca del ministro, che infatti subito specifica: «mi riferisco alle spese per gli asili nido, per la baby sitter e, quando i figli crescono, ai corsi di musica, sport…». Nessun accenno alla libertà educativa, principio in Italia solo affermato a parole, ma mai attuato nei fatti.

Secondo le intenzioni già ampiamente dichiarate, priorità del governo è un “mutamento di paradigma” nell’accudimento familiare, fondato su una concezione di madre e di padre come figure intercambiabili nella cura dei figli, con la priorità di incentivare il lavoro femminile. Perciò il sostegno economico immaginato va indirizzato a promuovere la frequenza agli asili nido e le attività extra-scolastiche, non alla libertà di scelta della famiglia, e della donna in particolare.

Il valore della famiglia, luogo di umanità e di speranza

Una sottolineatura appare però doverosa. Difficilmente una coppia, e soprattutto una coppia giovane, tarda la decisione di mettere al mondo un figlio per la preoccupazione di non poter sostenere il corso di musica o lo sport quando il figlio sarà grandino. Ha ragione il ministro nell’individuare nella mancanza di speranza l’origine delle culle italiane sempre più vuote. Ed è interessante notare come, in chiusura di intervista, la Bonetti esprima di nuovo un giudizio più che condivisibile: «penso che si debba investire in umanità e restituire speranza e fiducia. Lo si fa riconoscendo il valore delle comunità umane, a partire dalla famiglia».

Ma, come “IFamNews” sottolinea costantemente, esiste un nesso fra le dimensioni crescenti del welfare state e la decrescita demografica: gli incentivi statali a fare più figli non sono la soluzione. Va davvero ripensato in profondità il rapporto tra Stato e cittadino, iniziando a modificare quell’affermazione del ministro che in prima battuta era parsa condivisibile: un figlio non è da valorizzare in quanto «cittadino di cui ci dobbiamo prendere cura» in una concezione statalista in cui ogni nuovo nato è anzitutto un soggetto in più che contribuirà a pagare le pensioni di chi c’è già. Il ministro, però, ha già indicato quale sia il valore da sostenere: non la farraginosa e iperburocratizzata macchina statale, bensì «la comunità umana, a partire dalla famiglia». C’è solo da augurarsi che la Bonetti approfondisca questo spunto, abbracciando una visione meno ideologica della realtà in cui lo Stato, lungi dall’imporre la propria visione sull’uomo, si faccia garante della libertà dei singoli e delle famiglie, nel sostegno ‒ rispettoso ‒ della fragilità.

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